Futura speaker radiofonica e conduttrice televisiva, Ilaria Carmassi ci racconta la sua esperienza col diabete

Ilaria sta facendo un corso a Roma per diventare speaker radiofonica.
È solo il primo passo verso un mondo dello spettacolo che la attrae, da sempre, e che la chiama con forza, così come le sirene facevano con Ulisse.
Se avessimo a disposizione un microfono e una voce capace di arrivare a tutti, quali sono le informazioni che vorremmo veicolare sul diabete?
Se avessimo un palco, e se fossimo in diretta nazionale; se tutti potessero ascoltarci, all’unisono, cosa diremmo?

Forse, per prima cosa, che il diabete 1 non è la stessa cosa del diabete 2.
Due: il diabete di tipo 1 non ti viene perché hai mangiato dolci.
Tre: il diabete esiste anche se non lo vedi.

Probabilmente Ilaria, più che parlare, lo racconterebbe con i gesti.
Misurandosi la glicemia davanti a una telecamera, ad esempio, come ora fa in treno senza alcun problema.
Non è sempre stato così: “prima mi vergognavo, mi preoccupavo di quello che pensavano gli altri. Ora, se mi chiedono cosa sto facendo, rispondo senza problemi. Tutti dovrebbero sapere di cosa si tratta, ma nessuno dovrebbe esagerare o esasperare. Sentirmi dire ‘poverina… ma come fai?’ mi ha sempre abbattuto terribilmente. La pena e l’insistenza non aiutano”.
L’inclusione invece sì. E questo va ricordato, sempre.
Anzi, inseriamolo nel nostro discorso in diretta nazionale.
Quattro: l’importanza dell’inclusione.

A 16 anni, esattamente a maggio 2012, Ilaria aveva sempre sete. Da 52 kg è arrivata a pesarne 43. In ospedale le dicono che ha la glicemia a 600. Seguono 10 giorni di ricovero con flebo e terapie.
Impara tutto ciò che c’è da imparare – ancora non sa, che col diabete però, non si smette di imparare mai – e dopo poco è sfortunatamente vittima di un incidente in motorino. È bloccata a letto, ingessata e col diabete da gestire. Non scoppiare, a questo punto, è davvero impossibile.
“Ero arrabbiata col mondo, me la prendevo con mia madre. Ero intrattabile. Poi, un giorno ho capito che non poteva continuare così. Mi sono detta: in un modo o nell’altro, ci devi convivere. Non ci sono altre opzioni. Non c’è altra possibilità. O ci convivi, o ti piangi addosso”.

Eccolo, il momento cruciale di tutte le storie con le quali mi sono imbattuta finora: l’accettazione.
Un’accettazione attiva, cosciente, che nulla ha a che vedere con la rassegnazione, che per sua natura è passiva.
L’accettazione non la puoi forzare, arriva quasi sempre dopo un trascorso travagliato e doloroso che va attraversato a piedi pari. Bisogna tuffarcisi dentro con un coraggio da leoni. Non si può fingere.
E non arriva da un giorno all’altro. Va coltivata, va fatta fiorire.
Cinque: l’importanza dell’accettazione.

Non sai mai cosa ti possa capitare nella vita. Nel bene e nel male. A me è capitato il diabete. Io sono una persona molto positiva e a volte quando incontro altre persone che ci si devono confrontare, capisco che la sto gestendo bene e che forse non mi pesa come ad altri. A volte, mi chiedo addirittura: Come mai? Gli sto dando la giusta importanza?
Cerco di condurre una vita normale e non mi sono mai privata di nulla. Il diabete mi ha costretto a una vita sana, a conoscere il mio corpo.
Ma credo che sarebbe molto utile, anche tramite i social, attivare un canale dedicato interamente al cibo. Per me sarebbe molto importante avere delle chiare linee guida su come abbinare gli alimenti… insomma un prontuario su cibo e diabete”.
Sei: È necessario conoscere.
È necessario essere informati. È necessario informare. E non pensare a un certo punto che sia sufficiente, perché non lo è.
C’è tanto da imparare. Mettiamoci tutti in ascolto.

A cura di Patrizia Dall’Argine