I farmaci che risvegliano Eros

Dossier

DISFUNZIONE ERETTILE: LE CURE DI OGGI E DI DOMANI

I farmaci che risvegliano Eros

Seconda puntata del nostro dossier su una frequente complicanza del diabete, dedicata alle possibili risposte farmacologiche disponibili, alla loro efficacia e alle eventuali controindicazioni e alle prospettive della ricerca nel campo della genetica

prof. Paolo Brunetti
Direttore Dipartimento di Medicina interna Università degli Studi di Perugia

Diverse classi di farmaci impiegati nella terapia del diabete sono in grado di migliorare la funzione endoteliale (che innesca il processo che porta all’erezione del pene). Ma è soltanto con l’introduzione degli inibitori dell’enzima fosfodiesterasi 5 (PDE5) che si è compiuto un vero progresso nella terapia della disfunzione erettile.
In condizioni fisiologiche, la liberazione di NO -ossido di azoto- dalle terminazioni nervose e dall’endotelio che riveste i seni cavernosi provoca, con la mediazione di un secondo messaggero, il GMPc (guanosina monofosfato ciclico) prodotto dall’enzima guanilato-ciclasi, i fenomeni vasodilatatori responsabili del maggiore afflusso di sangue e della tumescenza del pene.
In altri termini, stimoli visivi, olfattori, tattili e mentali vengono convogliati attraverso le terminazioni nervose (nonadrenergiche e noncolinergiche, Nanc) che avviano il processo erettile. La produzione di NO da parte del rivestimento endoteliale dei corpi cavernosi attiva la guanilato-ciclasi che produce GMP ciclico che, a sua volta, induce il rilascio della muscolatura liscia dei corpi cavernosi e delle arteriole determinando un maggiore afflusso di sangue, l’occlusione delle vene e la tumescenza del pene. Il GMPc viene quindi degradato dall’isoforma 5 dell’enzima fosfodiesterasi (PDE5), la cui azione causa la cessazione dell’effetto. Il mantenimento dell’erezione durante il rapporto sessuale è dunque la conseguenza di un fisiologico equilibrio fra produzione di NO e di GMPc, da un lato, e degradazione di quest’ultimo, dall’altro. L’interruzione dello stimolo neurogeno al termine dell’atto sessuale interrompe la produzione di NO e fa prevalere la funzione catabolica della fosfodiesterasi con consumo di GMPc e conseguente detumescenza del pene. Gli inibitori della PDE5, impedendo la degradazione del GMPc, ne mantengono elevata la concentrazione e ne prolungano l’effetto. L’efficacia degli inibitori della PDE5 è perciò strettamente dipendente dalla formazione di GMPc indotta dalla liberazione di NO ed è perciò minore o assente laddove vi sia un grave deficit di produzione di NO. E’ altrettanto ovvio come la loro azione sia subordinata a una stimolazione sessuale che dia l’avvio alla produzione di NO.
Disponiamo oggi di tre potenti inibitori della PDE5, Sildenafil, Vardenafil e Tadalafil, che, in numerosi studi clinici randomizzati e controllati, si sono rivelati egualmente efficaci nel migliorare l’erezione e consentire un normale rapporto sessuale in circa l’80% dei soggetti con disfunzione erettile riconducibile a varie eziologie. La percentuale di successo scende nei pazienti diabetici, oscillando intorno al 60%, in rapporto alla presenza di neuropatia autonomica, alla maggiore compromissione della funzione endoteliale e, di conseguenza, alla minore disponibilità di NO. Lo stesso vale per i soggetti prostatectomizzati che abbiano ricevuto un danno delle terminazioni nervose.
Per quanto comparabili per efficacia alle dosi consigliate, i tre farmaci differiscono fra loro per le proprietà farmacocinetiche. In particolare, l’emivita (che misura la metà del tempo di decadimento dell’effetto della molecola – ndr) di Sildenafil e Vardenafil è di circa 6 ore, mentre il Tadalafil è caratterizzato da una emivita di 17 ore. Di conseguenza, l’attività di Sildenafil e Vardenafil comincia dopo 30-60 minuti dalla assunzione orale e si mantiene per 8-12 ore. Tadalafil manifesta invece la sua attività dopo 60-120 minuti e si mantiene efficace per 24-36 ore. Le diverse caratteristiche farmacocinetiche dei tre composti ne condizionano la scelta terapeutica, subordinando alla preferenza del paziente l’uso di un farmaco che agisca a domanda o che lasci una più ampia opzione temporale di utilizzo. Indipendentemente dal tipo di farmaco scelto, la terapia con un inibitore della PDE5 non ha un valore puramente sintomatico, giacché la ripetizione dello stimolo vasodilatatorio può consentire una riabilitazione funzionale, con risultati destinati a migliorare rispetto alle dosi iniziali, nel prosieguo della terapia.
In rapporto alla diversa capacità inibitoria esercitata dalle tre molecole sulla fosfodiesterasi, la dose consigliata è di 25, 50, 100 mg per il Sildenafil e di 10, 20 mg per il Vardenafil e per il Tadalafil. E’ buona norma cominciare con la dose più bassa e non assumere più di una dose nella giornata.
Tutti i farmaci hanno un prevalente metabolismo epatico con una escrezione quasi esclusivamente fecale e una minima escrezione urinaria. Sildenafil e Vardenafil, ma non Tadalafil, producono metaboliti attivi a livello epatico. Poiché tutti e tre gli inibitori della PDE5 sono metabolizzati dal citocromo P4503A4, sono possibili interazioni farmacologiche che possono richiedere una variazione della dose. In presenza di insufficienza epatica o di una età superiore a 65 anni, è consigliabile partire con una dose inferiore per la possibilità di una ridotta clearance epatica. L’assunzione di un pasto ricco di lipidi ritarda l’assorbimento e quindi l’inizio dell’azione di Sildenafil e Vardenafil, ma non di Tadalafil.

EFFETTI COLLATERALI  E CONTROINDICAZIONI

Attenzione al cuore

Le molecole per la cura della De devono essere usate con cautela in presenza di problemi cardiaci e non possono mai essere assunte se si è in cura con nitrati anti-angina, ma si tratta di farmaci sicuri e affidabili

I farmaci per la cura della disfunzione erettile sono efficaci in quanto inibiscono l’azione della fosfodiesterasi 5 (o PDE5), uno degli isoenzimi appartenenti alla più ampia famiglia delle fosfodiesterasi (presenti in tutti i tessuti dell’organismo), responsabile della cessazione dell’erezione. La PDE5 è l’isoforma predominante nei corpi cavernosi, ma è presente, anche se in  misura assai inferiore, pure nella muscolatura liscia delle arterie e delle vene del circolo sistemico e polmonare e in quella del tratto digerente e particolarmente nella giunzione gastroesofagea.
E’ a queste localizzazioni secondarie della fosfodiesterasi 5 che si devono alcuni effetti collaterali minori delle molecole di cui stiamo parlando, come cefalea (verosimilmente secondaria a vasodilatazione cerebrale), fenomeni di “flushing” (arrossamento) cutaneo, senso di occlusione nasale, dispepsia e un lieve effetto ipotensivo, con una riduzione della pressione arteriosa sistolica e diastolica nell’ordine di 4-8 mmHg e un lievissimo aumento compensatorio della frequenza cardiaca (da 2 a 5 battiti al minuto). Non si deve dimenticare al proposito che la molecola del Sildenafil fu originariamente disegnata per ottenere un effetto antianginoso, di vasodilatazione coronarica.
La diminuzione della pressione arteriosa può essere maggiore in soggetti ipertesi o con una patologia del sistema vascolare. Una certa cautela è stata perciò consigliata in soggetti con stenosi aortica e ostruzione del flusso ventricolare, con scompenso congestizio e ridotta volemia (volume sanguigno) o con condizioni cardiache instabili come, per esempio, l’angina instabile.
Una controindicazione assoluta esiste invece per l’associazione degli inibitori della PDE5 con i nitrati somministrati a scopo antianginoso. Poiché i nitrati aumentano la produzione di GMPc e gli inibitori della PDE5 ne impediscono la degradazione, l’uso contemporaneo di entrambi può determinare una importante caduta della pressione arteriosa fino a un vero stato di shock.
Ciò apre il problema di come si debba intervenire in soggetti con dolore stenocardico in trattamento con un inibitore della PDE5. Secondo le linee guida della American Heart Association e dell’American Cardiology College, dopo una dose di Sildenafil, prima di somministrare nitroglicerina o un farmaco equivalente, è necessario attendere un tempo pari a 4 volte l’emivita del farmaco, cioè 24 ore. Analogamente, nessun effetto negativo è stato osservato dopo l’assunzione di nitroglicerina somministrata 24 ore dopo una dose di Vardenafil. Il tempo di attesa prima dell’impiego di nitrati sale a 48 ore con il Tadalafil, per la più lunga emivita del farmaco.
Un effetto sinergico in senso ipotensivo esiste anche nella associazione degli inibitori della PDE5 con gli alfa-bloccanti. Gli alfa-bloccanti, specialmente dopo i risultati dello studio “Antihypertensive and Lipid-Lowering Treatment” (Allhat), vengono oggi usati, nella terapia dell’ipertensione arteriosa, come farmaci di terza linea. Sono impiegati invece di routine nella terapia dell’ipertrofia prostatica benigna. I farmaci in questione sono due alfa-bloccanti non selettivi, la doxazina e la terazosina, e due alfa-bloccanti selettivi, la tamsulosina e la alfuzosina. Per l’uso associato di inibitori della PDE5 e degli alfa-bloccanti, specialmente se selettivi, non c’è una controindicazione assoluta, ma un invito alla cautela. L’aggiunta di un inibitore della PDE5 alla terapia alfa-bloccante presuppone che questa sia stabilizzata da tempo e che l’inibitore sia somministrato inizialmente alle dosi più basse. Per converso, la prescrizione di un alfa-bloccante a un paziente trattato con un inibitore rende necessario l’impiego iniziale di dosi minime del farmaco ipotensivo.
Malgrado alcune segnalazioni allarmistiche intervenute, nei primi anni di impiego del farmaco, circa la maggiore incidenza di infarto del miocardio e morte in pazienti trattati con Sildenafil, studi successivi hanno dimostrato che l’incidenza di eventi cardiovascolari avversi non è significativamente diversa nei pazienti trattati con Sildenafil, Vardenafil e Tadalafil rispetto a una equivalente popolazione che non ha ricevuto questo trattamento.
La sicurezza di impiego degli inibitori della PDE5 è ribadita dagli studi di monitoraggio EC-Grafico  (eletrocardiogramma) in corso di esercizio fisico, eseguiti con tutti e tre i farmaci. In particolare, nessuna differenza è stata osservata in soggetti con angina stabile, rispetto al placebo, per quanto riguarda la tolleranza e quindi la durata dell’esercizio fisico, il tempo di comparsa dei segni EC-Grafici (sottoslivellamento del tratto S-T) e clinici (angina, dispnea) di ischemia miocardica. In due studi si è anzi dimostrato che la somministrazione a pazienti con angina stabile di una dose di Sildenafil o di Vardenafil, un’ora prima dell’esercizio fisico, ha aumentato il tempo di insorgenza del dolore anginoso e della depressione del tratto S-T.
Un ulteriore ambito di indagine, per la tolleranza agli inibitori della PDE5, è rappresentato dagli effetti esercitati sulla durata del tratto Q-T, per il ruolo che un prolungamento del  tratto Q-T può esercitare come causa di fenomeni aritmici. Anche se le variazioni indotte dagli inibitori della PDE5 sono state tutte al di sotto del limite di sicurezza di 10 msec, può essere considerato con cautela l’uso combinato degli inibitori con gli antiaritmici di classe 1 e 3.
Nel 2002 e successivamente nel 2005 si è richiamata l’attenzione su alcuni casi di improvvisa perdita della vista secondaria a ischemia del nervo ottico (“Non Arteritic anterior Ischaemic Optic Neuropathy” o Naion), in soggetti trattati con Sildenafil. I soggetti colpiti da questa patologia erano affetti da varie condizioni morbose, quali diabete mellito, ipertensione arteriosa, iperlipidemia, malattie cardiache o altre malattie oculari. Non vi sono tuttavia prove che leghino l’uso degli inibitori alla comparsa di Naion. Anzi, estesi studi osservazionali eseguiti in Europa su decine di migliaia di pazienti hanno mostrato come l’incidenza di Naion in corso di trattamento con Sildenafil sia del tutto simile a quella riscontata nella popolazione generale (2.8 casi per 10000 anni/paziente).
In sintesi, l’uso degli inibitori della PDE5 per la cura della disfunzione erettile può ritenersi sicuro sotto il profilo cardiovascolare, con la sola avvertenza della controindicazione rappresentata dall’uso combinato degli inibitori della PDE5 e dei nitrati.
Per quanto sufficientemente selettivi per la PDE5, Sildenafil, Vardenafil e Tadalafil presentano una variabile affinità per le altre isoforme dell’isoenzima. Da ciò derivano alcuni effetti collaterali che, per quanto rari, ricorrono con maggiore frequenza con una molecola piuttosto che con un’altra. Una attenzione particolare è stata rivolta alla inibizione della PDE6 espressa soltanto nella retina e importante nella trasmissione della percezione visiva. Il Vardenafil è, a questo proposito, un inibitore della PDE6 meno potente del Sildenafil ed è perciò meno probabile che dia luogo agli effetti collaterali secondari a questa inibizione e cioè a una abnorme percezione dei colori.
Un effetto collaterale più comune nei trattamenti con Tadalafil è rappresentato dalla comparsa di dolori alla schiena e agli arti e di mialgie diffuse. Ciò si deve al fatto che nel muscolo scheletrico è rappresentata l’isoforma 11 della PDE e che il Tadalafil è l’inibitore della PDE5 che ha il più basso indice di selettività nei confronti della PDE11. (P.B.)

STUDI SULLA POSSIBILE TERAPIA DEL FUTURO

L’alternativa dei geni

Nei pazienti diabetici, i principi attivi inibitori della PDE5 hanno una positività di risultati inferiore a quella osservata nei non diabetici. Nei casi in cui questo approccio terapeutico non ha successo -e ciò si verifica nel 30-40% dei casi- è possibile il ricorso a tecniche invasive come l’iniezione di prostaglandine o di papaverina nei corpi cavernosi oppure -estrema ratio non facilmente condivisibile- l’impianto di protesi peniene.
Un’alternativa affascinante e densa di promesse, anche se proiettata in un futuro non prossimo, è la terapia genica. Il pene è un organo particolarmente idoneo per il trasferimento di geni, date le sue caratteristiche anatomiche e ultrastrutturali. E’ un organo esterno facilmente accessibile e ha una struttura interna che facilita la distribuzione e la permanenza a lungo termine dei prodotti genici nei corpi cavernosi.
Poiché alla base della disfunzione erettile vi è un deficit di produzione o un eccesso di inattivazione di ossido di azoto (NO) prodotto dalle terminazioni nervose e dall’endotelio  dei seni cavernosi, i tentativi di terapia genica finora realizzati hanno mirato a restaurare la catena di eventi che dalla formazione di NO conduce fisiologicamente al rilascio della muscolatura liscia dei corpi cavernosi e delle arterie elicine del pene.
In una esperienza condotta nel topo, con lo scopo di restaurare la produzione di NO, si è introdotto il gene della NO-sintetasi inducibile (iNOS), iniettando nel corpo cavernoso cellule endoteliali umane ricavate dalle arterie coronarie e transfettate, con l’utilizzo di un vettore retrovirale, con il gene della iNOS. Il trasferimento genico ha avuto, in questa esperienza, un risultato positivo, avendo determinato un aumento significativo della concentrazione tessutale di NO e della risposta pressoria intracavernosa alla stimolazione nervosa.
Una tecnica diversa  è stata adottata da Melman et al (27), in un elegante esperimento pilota compiuto su 11 uomini con disfunzione erettile, da moderata a grave. In questo studio, di fase 1, (Melman A et al.: Human gene therapy 2006; 18: 1165-1176), il primo che sia stato compiuto nell’uomo, l’obiettivo della terapia genica è stato il potenziamento della espressione, nelle cellule muscolari lisce, dei canali del potassio calcio-dipendenti che svolgono un ruolo centrale nella modulazione della eccitabilità delle cellule muscolari. Infatti, il GMPc, la cui sintesi è indotta dall’NO, esercita la sua azione aprendo i canali del potassio e consentendo così agli ioni K+ di defluire fuori dalla cellula determinando una iperpolarizzazione della membrana. Ciò limita l’ingresso degli ioni Ca++ nella cellula e determina il rilascio della muscolatura liscia dei corpi cavernosi e delle arteriole. Un approccio di trasferimento genico capace di accrescere l’espressione dei canali del potassio nei corpi cavernosi dovrebbe in via teorica correggere il deficit di stimolazione causato dalla senescenza o da condizioni patologiche.
L’esperienza condotta dagli autori sembra confermare la validità di questo approccio. Il gene utilizzato è il gene hSlo che codifica per la subunità alfa del canale del potassio attivato dagli ioni Ca++ (Maxi-K). Il gene è stato clonato e inserito in un plasmide costituito da una doppia elica di DNA nudo. Il plasmide, così formato, è stato quindi iniettato in dosi variabili da 500 a 7500 μg nei diversi pazienti e questi sono stati seguiti per 6 mesi. La diffusione del plasmide all’interno del pene è facilitata dalla struttura del tessuto penieno, che, in virtù di strette giunzioni fra i singoli elementi cellulari, si comporta come un vero sincizio.
La tollerabilità è stata piena e, con le dosi più alte impiegate, sono stati osservati miglioramenti della funzione erettile assai significativi sul piano clinico, valutati tramite l’applicazione dell’”International Index of Erectil Function” (Iief) e la successiva conferma dei risultati dichiarati dai pazienti da parte dei rispettivi partner.
Questo studio pilota necessita di ulteriori conferme relative alla sicurezza e alla efficacia della procedura in studi di ben più vasto respiro. La sperimentazione del trasferimento genico, con o senza vettore virale, richiederà molti anni, ma sembra possibile che, attraverso questa via, si possano contrastare in futuro gli effetti negativi dei processi degenerativi indotti dalla vecchiaia e dalle malattie. (P.B.)