Il punto
Attualità e prospettive secondo la IDF
Il diabete e il mondo
Il World diabetes day ha rilanciato il tema di una patologia che non smette di espandersi, con pesanti costi economici e umani, ma che può essere positivamente contrastata con il contributo di tutti, a cominciare dai governi
Vi pare accettabile che un bambino nordamericano con diabete di tipo 1 abbia ottime possibilità non solo di sopravvivere, ma anche di condurre una vita del tutto normale, mentre un suo coetaneo nella stessa condizione nato nell’Africa subsahariana abbia alte probabilità di non vivere che pochi mesi? No, è inaccettabile: è una vergogna, come ha denunciato Jean Claude Mbanya, presidente dell’International diabetes federation, al XX congresso mondiale Idf tenutosi a Montreal (Canada), ricordando il cuore del problema: un farmaco indispensabile, scoperto quasi novant’anni fa, non è ancora accessibile a tutti quelli che ne hanno bisogno. E’ anche per ottenere che le cure siano disponibili per tutti che esiste e si batte la Idf, organizzazione non governativa (ong) che riunisce più di duecento associazioni presenti in centosessanta nazioni, impegnata da più di cinquant’anni nella missione di fronteggiare una patologia in continua espansione in tutto il mondo. E’ sotto la sua egida (dal 2006 anche con l’imprimatur dell’Onu) che si tiene tutti gli anni, il 14 novembre, il World diabetes day, la grande manifestazione internazionale che illumina di luce blu i più bei monumenti dei cinque continenti per ricordare che il diabete è un problema che può e deve essere affrontato meglio di quanto oggi si stia facendo.
Secondo le stime dell’Atlante del diabete curato da Idf (giunto alla quarta edizione) oggi nel mondo vi sono 285 milioni di persone: di questo passo, se non sarà messo in campo alcun intervento, saranno 440 milioni entro il 2030. E se è vero che in molti Paesi poveri il diabete diventa una drammatica questione di vita o di morte, non si può certo dire che nel ricco occidente la tendenza non sia inquietante. Nel Nord-America (Stati Uniti e Canada) si registra la più alta prevalenza mondiale: il 9% della popolazione ha il diabete. In Italia l’Atlante Idf stima che vi siano circa 4 milioni di diabetici, circa il 6% della popolazione, e valuta una spesa procapite per paziente pari a 2800 dollari. Altre ricerche (per esempio, il recente Changing diabetes barometer) prevedono che entro il 2010 si possa raggiungere la cifra di 4 milioni e 700mila pazienti.
La International diabetes federation sottolinea il pesante impatto economico del diabete in tutto il globo: nel 2010 i costi relativi alla patologia arriveranno all’11,6% del totale delle spese sanitarie mondiali. Per prevenzione e trattamento si spendono oggi 376 miliardi di dollari che potrebbero diventare oltre 490 nel 2030. In media, oggi assistere una persona diabetica richiede 703 dollari in un anno. Come si può facilmente intuire, la fetta più grossa dei costi (i tre quarti) interessa la fascia di età dai 50 agli 80 anni. Meno ovvio è che si spenda di più per le donne che per gli uomini.
Ma un dato che le cifre globali e le medie non rivelano è come la spesa è distribuita. Idf fa notare quindi che l’80% dei costi è assorbito dai Paesi più ricchi e soltanto il 20% da quelli medi o poveri, che però contano il 70% dei diabetici. Ne consegue il paradosso che, da una parte, abbiamo Stati che affrontano spese assai ingenti e, dall’altra, nazioni che non riescono ad assicurare nemmeno tutte le cure di base. Eloquente il confronto tra Stati Uniti e India: la spesa 2010 Usa per il diabete sarà il 52,7% del totale mondiale, quella dell’India (il Paese con il più alto numero di diabetici) meno dell’1%.
Naturalmente, l’onere economico che grava direttamente sulle persone e sulle famiglie varia a seconda del sistema sanitario del loro Paese: in America Latina i diabetici pagano di tasca loro tra il 40 e il 60% della spesa per curarsi, negli Stati più poveri quasi il 100%, con le immaginabili carenze legate al basso reddito.
L’impatto economico si traduce anche in giornate lavorative perdute, minore produttività, mortalità e disabilità permanente: l’American diabetes association stima che questi danni siano costati agli Usa 58 miliardi di dollari; per l’Organizzazione mondiale della sanità tra 2005 e 2015 la Cina avrà subito un costo di 557,7 miliardi di dollari e la Russia di 303.
Dietro le cifre delle statistiche e i valori monetari, ci sono poi le condizioni materiali delle persone, la loro sofferenza e la loro fatica di fronte a uno status con cui sono, loro malgrado, costretti a convivere.
Tutto questo può essere ridotto puntando sulla prevenzione, l’educazione e l’organizzazione dell’assistenza con interventi poco costosi e non difficili da attuare. Ma Idf sa che per migliorare le cose, ci si deve rivolgere a tutti: alla popolazione generale per farle sapere che cos’è il diabete e spiegarle come prevenirlo; ai pazienti per informarli ed educarli, perché “la persona con diabete è il membro chiave del team diabetologico in quanto, giorno dopo giorno, deve prendere la maggior parte delle decisioni pratiche che riguardano la sua terapia”; ma anche alle istituzioni, alle autorità sanitarie, alla classe medica, perché gli individui non possono essere lasciati soli, ma devono poter contare sulle migliori condizioni e strutture di cura e di assistenza.
Per questo la Giornata mondiale ha lanciato la campagna Idf 2009-2013 “Understand diabetes and take control”: basata sull’appello a tutti coloro che sono coinvolti nella cura del diabete affinché comprendano che cos’è il diabete e imparino ad assumerne il controllo. E’ quindi l’informazione una delle chiavi del problema: Idf si impegna direttamente (e chiede il sostegno dei governi di tutto il mondo) per diffondere nella popolazione la conoscenza dei fattori di rischio (a partire dal dilagante fenomeno dell’obesità), la capacità di riconoscere i primi sintomi del diabete e per rendere sistematiche politiche e strategie di prevenzione della patologia e delle sue complicanze.
La Idf teorizza giustamente il “diritto” delle persone con diabete di sapere con precisione quale sia la loro condizione, di poter fare scelte consapevoli e di ricevere le migliori cure possibili. Senza una piena conoscenza del problema e senza correzione dei comportamenti sbagliati non si ottengono risultati, ma sottolinea la Idf, i ministri della Salute e i responsabili della sanità devono intervenire con politiche di supporto e con finanziamenti (possibilmente con piani nazionali per il diabete) per disegnare sistemi sanitari che rendano possibile la più efficace gestione del diabete integrando e mettendo in collaborazione permanente tutti i soggetti coinvolti nel problema. Un esempio di ciò è il team diabetologico interdisciplinare, adeguatamente preparato e organizzato, che segue la persona diabetica per tutti i vari aspetti della sua condizione, le insegna come autogestirsi e rappresenta un punto di riferimento per il paziente e per la sua famiglia. Là dove ci si è mossi in questa direzione si sono ottenuti risultati positivi e questo si è verificato in situazioni locali anche molto diverse: Idf cita Usa, Regno Unito, Ghana, Malawi, Sudafrica, Russia e Perù.
Come si fa? Con un lavoro quotidiano costante, che richiede impegno e organizzazione, non certo con una sola giornata. Ma un evento mondiale come il World Diabetes Day, che, come accaduto nell’ultima edizione, attira persone nelle strade di oltre cento Paesi, vede illuminati da fasci di luce blu più di mille edifici in ogni angolo della terra, “costringe”, dato il suo grande rilievo, mass media e governanti a parlare di diabete è un segnale straordinario e un mezzo molto efficace per dare una bella spinta alla causa.
Il World Day italiano
In Italia la giornata mondiale del diabete 2009 si è svolta all’insegna dello slogan “Diventiamo più forti del diabete. Una dieta equilibrata e una regolare attività sportiva aiutano a prevenire i rischi del diabete”. Promossa e coordinata come sempre da Diabete Italia (l’associazione che riunisce le società scientifiche di diabetologia, i rappresentanti delle organizzazioni delle persone con diabete e di quelle degli infermieri e dei podologi), ha visto lo svolgimento, nell’arco dei giorni 14 e 15 novembre, di varie iniziative in tante città italiane: fra queste, i presidi diabetologici allestiti in
cinquecento piazze per offrire ai cittadini informazioni, consulenza medica qualificata, l’opportunità di sottoporsi all’esame gratuito della glicemia e a un questionario diagnostico per scoprire la percentuale di rischio diabete da qui a 10 anni.
Alla Giornata hanno aderito anche le Ferrovie dello Stato con distribuzione di materiale informativo sui treni Eurostat Milano-Napoli. L’iniziativa ha inoltre trovato eco anche in importanti gare sportive, come il match di rugby Italia-Nuova Zelanda a Milano e la competizione internazionale di canottaggio a Torino, eventi in occasione dei quali sono stati approntati presidi per il testo glicemico gratuito. In oltre cinquanta città, si sono visti monumenti e palazzi fasciati di luce blu, il colore simbolo del diabete.
Educatori cercasi
La Idf ha condotto un’inchiesta sull’educazione sanitaria sul diabete in 26 Paesi di cinque grandi aree mondiali (Africa, Europa, Medio Oriente e Africa settentrionale, Nord America e Caraibi, America centrale e meridionale) per comprendere quali siano gli ostacoli all’attuazione pratica di questo fondamentale elemento di prevenzione e cura. L’indagine rileva che nonostante in molti Paesi esistano programmi nazionali per il diabete che la prevedono esplicitamente, spesso i pazienti non hanno accesso a una adeguata educazione e assistenza. Perché? Tra le cause di queste carenze, la più citata (in più del 20% dei casi) è l’insufficiente numero di educatori, seguita dalla mancanza di tempo lamentata dalle persone diabetiche, anche a causa dell’ostruzionismo dei datori di lavoro che sembrano non capire l’importanza della questione.