Simone
Ciao Daniele, sono Simone. Questo campo è stato molto bello, migliore degli altri campi che ho fatto. Eravamo più liberi di muoverci come volevamo, si poteva uscire da soli la sera. È stato molto interessante anche il corso di snow. La cosa più bella è che costava poco. La gente era simpatica. |
Io Federica e Gloria vorremmo farne un altro con tutta questa gente, né uno di più, né uno di meno. Devo andare. Ciao, ciao…
Fabrizio
“Ciao sono Fabrizio, mi hanno chiesto di fare un resoconto dello SNOWDIAB 2006, anche se non so esattamente cosa bisogna scrivere in un resoconto, perciò racconterò come è andata a me. Un giorno mio padre, cosciente del fatto che mi sarebbe sempre piaciuta l’idea d’imparare lo Snowboard ma che (per vari motivi) non avevo mai avuto l’opportunità, mi portò un dépliant dell’ADIQ e della BAYER dove era scritto che dal 5 all’8 di gennaio potevo raggiungere questo scopo. Pochi giorni dopo la mia iscrizione arrivò, però, subito la prima brutta notizia: ci dovevamo trovare alle 10 di mattina all’uscita ovest di Vicenza (io sono fiorentino), quindi mi è toccato salire su il quattro fino a Vicenza da parenti che non vedevo da un po’ ai quali mi son dovuto presentare con: “sono Fabrizio figlio di… nipote di…” ma non mi è dispiaciuto, anzi…il mattino dopo alle dieci (dieci e cinque massimo, ma non ero l’ultimo giuro) sono arrivato al parcheggio dell’uscita dove c’era un uomo, che durante il resto del campo avrei imparato a sopportare, il quale ci dava indicazioni e ci presentava al resto del gruppo, lui era Marco e insieme a lui c’erano Mattia e i doc Massimo, Giannermete (che ringrazio ancora per il caffè) e Natalia; gli altri ci avrebbero raggiunto. I ragazzi all’inizio sinceramente mi dettero una brutta impressione perché quelli di Viterbo (Francesco, Marzia ed Elisa) scesero dalla macchina solo all’ultimo e stettero per le loro per tutta la spiegazione, quelle di Rovigo (Gloria e Federica) guardavano ragazzi e ragazze ed esprimevano la loro su di noi fra risatine ed occhiatine che mettevano un po’ in imbarazzo, i due di Genova (Davide e Massimo) uno protestava sulla gestione dei guanti del padre con il proprietario e l’altro praticamente dormiva per la levata, il Bust’arsiziese Emanuele (compagno di bischerate) si presentò con cappellino e occhiali da sole che lo dipingevano un po’ come quello che non è lì per fare amicizie ed, infine, il bresciano Simone ascoltava la musica (credevo lo facesse per imbarazzo poi invece scoprii per vera passione) io rimanevo un po’ bloccato davanti a tutto ciò ripetendomi dentro di me: Ma dove sono finito?. Subito m’infilai nella macchina più grande che vidi per cercare di attaccare bottone con più fauna diabetica possibile; la macchina era del diabetologo Massimo Orrash e, appena seppi che la macchina era di un diabetologo, pensai “ecco, ora si parlerà di terapia per tutto il viaggio!”, ma per mia grande fortuna non fu così…durante il viaggio conobbi Davide (balcone per gli amici), Emanuele, Massimo e Massimo (che per distinguerlo dal secondo chiamavo Doc, naturalmente per la professione esercitata) scoprendo il primo diabetologo bischeraccio che conosco (scusate se uso spesso il termine, ma secondo me rende l’idea e poi serve per far vedere da dove vengo) dovreste sentirlo mentre, ai poveri passanti, faceva il verso in Veneziano (sempre nel mio cuore rimarrà la sua affermazione in cima ad una montagna, dove in mezzo al silenzio della nostra fatica ed ammirazione per lo spettacolo sentenziò con un “it’s wonderful ciò!” in perfetto inglese con accento veneto l’evento). L’argomento principale, da buoni diabetici in macchina con un diabetologo tutti con le glicemie un po’ sballate che vanno a fare Snowboard in cima ad una montagna lasciando i genitori ansiosi a casa, fu la musica ed interessò tutti i generi (ci fu anche, da parte mia, lesson Hip Hop number one) poi ci fermammo a mangiare e finalmente ci presentammo tra ragazzi, anche se la mia macchinata sembrava che si conoscesse da anni (era già partita la sfida tra me e Davide a chi, amichevolmente, riusciva a offendere l’altro nella maniera più divertente possibile), l’ostacolo più grande fu quello dei dialetti, anche se poi più che un ostacolo diventò un motivo di risate e di “scambio culturale” tanto che la Marzia quando tornò in giù riusciva a parlare il viterbese con accento veneto e la ADIQ (per gli ignoranti Alpinisti Diabetici In Quota) diventò Associazione Dialetti Italiani di Qualità. Arrivati in albergo trovammo anche i romani Carlo e Alessandro (che io avevo già avuto il piacere di sentire per telefono prima dell’inizio del campo per tentare di scroccare un passaggio fino a Firenze in macchina) e la simpatia per i nostri due dialetti ci dette spunto per un’amicizia. Dopo andammo a prendere le nostre tavole e scarponi che con grande fatica (e con parecchie cadute) portammo allo ski room (ricovero attrezzi), e ci fu il primo incontro con Gianni e Natalia dove dovevamo parlare delle nostre cose preferite (profumi, cibi, oggetti ecc) poi ci demmo alla pazza gioia con la cena (sto scherzando!) e mi ritrovai a tavola con Gloria, Federica e Francesco (con cui feci partire il primo lancio di oggetti da un tavolo ad un altro); il mangiare era commestibile (anche se non c’era la fiorentina ed il pane era salato!) ma ciò che importava di più a tutti era la compagnia, infatti facemmo tutti subito molta amicizia (cosa che stupì molto Marco) secondo me perché avevamo avuto,chi prima e chi dopo, un grande amico in comune che richiedeva molto impegno, ma che senza il quale non avremmo mai potuto fare questa bellissima esperienza e non saremo quelli che siamo.
Per la cena ci raggiunsero (mica scemi) Andrea (il simpaticissimo diabetologo del Gaslini), Daniele (il terzo organizzatore-alpinista-diabetico del campo) e Lorenzo il nostro cameraman (sapeste quanto l’ho fatto lavorare) mi stupì il fatto che nessuno ci ruppe molto per il fatto delle insuline e che avevamo un menù alla carta. La sera finii in stanza con Davide, Massimo, Emanuele e Simone; li per li ci fu felicità generale: era la stanza più grande, vicino a quella delle ragazze, con tutta la mia macchinata e con un letto in più, poi a noi si unì Marco e lì partì da parte di Massimo un testuale: “alora (con una “l”, Massimo è genovese) belin proprio a noi doveva capitare?” ma ci trovammo molto bene a parte le sue abitudini “gallinesche” di andare a letto alle dieci e alzarsi alle sei che non rispecchiava affatto il nostro “alla sera leoni alla mattina coglioni” servì molto un diabetico adulto (è il primo che conosco nel vero senso del termine), sportivo ed intelligente (tranquille è già sposato!) e io ci ho stretto una bella amicizia incentrata soprattutto sul confronto sportivo, medico, generazionale e sul rapporto con l’altro sesso. La sera, come sempre in questo tipo di campi, fu il momento più divertente per tutti, da parte mia ci fu una relazione-lampo con la Federica finita la mattina dopo ma comunque inizio di una nuova amicizia; e ci fu ancora più affiatamento fra tutti noi. La mattina dopo (dopo una bellissima dormita interrotta solo dalla mano di Massimo che stava esplorando la mia zona del letto) noi della camerona fummo svegliati (in ritardo vedi la citazione sopra) dalla Marzia e l’Elisa. Dopo la più grassa colazione mai fatta (scherzo di nuovo tranquilli!) siamo andati a fare la prima lezione di Snowboard dove abbiamo conosciuto i nostri maestri (tutti bravissimi, io parteggiavo per Diego) e, io e Massimo, abbiamo iniziato le “scianche” (gare in genovese) che ci avrebbero accompagnato ogni mattina. Nel pomeriggio ci fu la “ciaspolada” (così rinominata da Marco quando gli si propose una gara con le ciaspe in cima alla Marmolada) durante la quale da padrone la fecero i continui “scioperi” per fatica proposti da me e Massimo, la mitica rimonta di Alessandro, le canzoni di Simone (soprattutto “Robin Hood e Little John” della Disney), le frequenti cadute (mi avevano dato le ciaspe pacco!) e la voglia di prenderci in giro per la nostra resistenza da pensionati da parte di Marco. Il pomeriggio ci fu un’altra lezione di Gianni e di Natalia sui cibi (ognuno doveva dire il proprio piatto preferito per poi parlare del nostro rapporto con il cibo, in pratica masochismo puro) e il Doc Orrash mi spiego cose nuove per me sulla gestione del diabete nei giorni di attività sportiva di cui ringrazio (e io sono uno che ha il diabete da 9 anni e faccio abbastanza sport quindi le mie cose le so) . La sera, naturalmente passata fuori dalla camerona perché di la avevamo il “fisicaccio” che si doveva svegliare alle sei per andare in pista e rompere le balle al proprietario dell’albergo e perché non c’erano molte ragazze, l’abbiamo passata a guardare un pezzo del “Titanic”, più che a guardarlo a prendere in giro Leonardo Di Caprio da parte dei ragazzi e a difenderlo da parte delle ragazze, poi io, stufo della sfida che finiva sempre con le solite battute infelici sui gusti sessuali dell’attore per colpa del suo taglio di capelli, mi accorsi di essere rimasto chiuso fuori dalla camera e di avere le chiavi dentro; la disavventura mi fu però d’aiuto nel conoscere meglio Gloria perché anche lei aveva bisogno di una mano in quel momento. La mattina seguente fui svegliato dalle tenere nocche del Doc che si abbattevano violentemente sulla porta. Dopo le solite “scianche” mattutine e il pranzo alla baita (dove si svolgeva la quotidiana sfida a far impazzire il cameriere) ci fu la “ciaspolada” a cui non parteciparono per aver accusato dolori durante la lezione di Snowboard (eh, eh!) Carlo e Federica, ma si persero la più bella gita sulla neve. La gita, meno faticosa dell’altra, oltre alle solite cadute ci ha regalato una bella visita all’Ossario (per gli ignoranti di prima un gigantesco monumento ai caduti della prima e seconda guerra mondiale) e, dopo gli eventuali controlli e punture, una cioccolata calda. Per me fu la giornata più bella (e spero anche per qualcun altro!) perché segnò l’inizio della mia storia con la Gloria (che per ora va avanti nonostante l’evidente distanza e la conseguente arrabbiatura dei rispettivi genitori per le lunghe telefonate). Dopo la doccia, ci fu l’ultima lezione di Gianni e Natalia (alora! Belin ci tocca scrivere un’altra volta?!) dove si parlò della storia dei nostri esordi scritti (e toccato anche a Massimo) in maniera anonima il giorno prima, mi fu molto d’aiuto perché riuscii a capire che dopotutto io, insieme a pochi altri, avevo preso in maniera positiva il diabete e che questo dipendeva molto da come si erano comportati e da come si comportano tuttora i nostri genitori. La sera si fece tutti un giratina per il paese di Arabba, poi, dopo una breve visita in camera dei romani, ci ritrovammo in camerona dove si sentiva gia aria di saluti e, per sentirci più vicini, io, Emanuele, Davide, Massimo e Francesco si imbastì una lotta a cuscinate che si evolvette in una gara al lancio della scarpa e allo scoppio del succo di frutta (guardate il lato positivo…vuol dire che non ci è servito!) a squadre pari (tutti contro Davide) sotto lo sguardo inorridito di Marzia, Elisa e Gloria e con la colonna sonora di Simone (gli altri tre dormivano nelle rispettive camere); il resto della serata lo passai con la Gloria. Il mattino dopo mi svegliò il Doc (che strano) abbiamo caricato le valigie sulle macchine, abbiamo fatto l’ultima lezione “scianca” e dopo i commoventi saluti e i “se passo da lì ti faccio uno squillo!” io, Francesco, Marzia e Elisa siamo partiti via per primi in macchina di Marco per andare a prendere un treno (che solo dopo abbiamo capito essere lo stesso) che ci avrebbe portato, con un po’ di tristezza e parecchi dolorini, a casa. Un ultima cosa; oltre a fare questo “resoconto” che, se siete arrivati fino a qui vi ringrazio d’aver sopportato, mi hanno chiesto di dire cos’è che, secondo me (e molto probabilmente anche per gli altri ragazzi), mancava a questo campo. Ci ho pensato un po’ e penso che l’unica cosa che gli manca sono quei quattro o cinque giorni in più che non avrebbero guastato. Ciao “