Il Piano D: un programma nazionale, da attuare Regione per Regione, per far fronte alla crescente diffusione del diabete potenziando prevenzione, cura e assistenza con la partecipazione e l’interazione di tutti i soggetti coinvolti e uniformando il trattamento su tutto il territorio
Il 2013 si è aperto con una buona notizia: l’Italia ha un piano nazionale per la lotta contro il diabete, con tanto di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Il provvedimento risponde a una risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2012, che invitava gli Stati della Ue a munirsi di una legge specifica in materia, avendo preso coscienza della rilevanza di quella che ormai è un’autentica pandemia (346 milioni di casi nel mondo). Il “Piano per la malattia diabetica” riconosce quindi questa patologia come una priorità per il Ssn (in Italia riguarda dai 3 ai 5 milioni di persone, stima approssimativa a causa del vasto fenomeno del diabete “sommerso”) e prevede una strategia che coinvolge le strutture di governo del Paese, nazionali e locali, Stato, Regioni e Province autonome, al fianco della popolazione e degli operatori sanitari. Al testo hanno lavorato Ministero della Salute e Commissione nazionale diabete, previa consultazione di Diabete Italia, società scientifiche, associazioni di volontariato, responsabili regionali.
I pazienti al centro: secondo le associazioni nazionali dei diabetologi, Amd e Sid, si tratta di un risultato di grande rilievo. Carlo Bruno Giorda, presidente di Amd, lo definisce come “il migliore e più importante documento di programmazione della cura del diabete dopo la Legge 115/87, nel quale si punta alla centralità del paziente preso in cura in modo integrato dal team specialistico e dal medico di famiglia”.
“Il Piano nazionale del diabete -dice, dal canto suo, Stefano Del Prato, presidente della Sid – rappresenta un’occasione unica per garantire un livello di cura quanto più omogeneo possibile sull’intero territorio nazionale. Questo livello di cura dovrà essere garantito attraverso l’integrazione di tutti gli attori che partecipano all’assistenza della persona con diabete. Proprio per la sua importanza si auspica che il Piano sia punto di partenza di un lavoro comune capace di rispondere alle esigenze di milioni di cittadini italiani”.
Il Piano diabete fissa alcune priorità che devono servire da piattaforma per gli interventi delle Regioni e delle Province autonome che hanno in mano la gestione diretta della Sanità.
Gli obiettivi generali sono: porre al centro la persona con diabete, valorizzare il ruolo delle associazioni di volontariato, promuovere l’integrazione e la rete tra i diversi livelli assistenziali (specialisti e medici di medicina generale) attraverso “percorsi diagnostico terapeutici assistenziali”, assicurare un uso appropriato delle risorse. Considerando il pesante impatto sociale, economico e sanitario del diabete, ci si propone di ridurre al minimo ciò che più costa al sistema, cioè gli eventi acuti e le complicanze invalidanti. In questa prospettiva si afferma come fondamentale un approccio multidisciplinare e multiprofessionale, con l’attivo coinvolgimento delle persone con diabete, intorno agli obiettivi della prevenzione, della diagnosi precoce, della buona gestione della malattia e delle complicanze, del miglioramento dell’assistenza e della cura. Un accento particolare è posto sull’importanza di rafforzare la capacità di autogestione del paziente. Tra le raccomandazioni principali, il testo sottolinea inoltre la necessità di promuovere la prevenzione primaria attraverso programmi di educazione sanitaria e di screening che incoraggino l’alimentazione corretta e la regolare attività fisica e che individuino i soggetti a rischio.
Essenziale è che nell’affrontare la problematica siano sempre chiamati in causa tutti i protagonisti, diabetologi, medici di famiglia, pediatri, psicologi, dietisti, infermieri, associazioni di volontariato e che sia garantita la formazione e qualificazione costante di chi opera su questo fronte.
Cure omogenee: questi principi, ormai consolidati nell’ambito della comunità diabetologica, devono essere accolti all’interno di piani regionali di attuazione con la finalità di assicurare una omogeneità dell’assistenza sul territorio nazionale, superando le differenze tuttora esistenti. Come fa notare Diabete Italia, “una volta recepiti dalle legislazioni regionali, i concetti del Piano fanno legge”. Ciò è rilevante perché “un paziente, una associazione o un team possono quindi chiedere alla Regione o alla Asl di modificare tutti gli atti, le circolari e le norme che non sono coerenti con questi concetti e questi impegni o chiedere alla Regione o alla Asl di mettere in pratica I concetti e gli impegni presenti nel Piano”.
Il presidente della Sid Stefano Del Prato commenta: “Un’efficace prevenzione è fondamentale per ridurre l’impatto del diabete sull’individuo e sulla collettività e non può non partire che da un miglioramento della consapevolezza dei rischi ma anche delle possibilità di prevenzione a livello di popolazione generale. Il Piano rappresenta un importante punto di riferimento di queste azioni, che auspichiamo vengano attivate a tutti i livelli a partire dalle generazioni più giovani, che sono quelle a rischio di pagare uno scotto maggiore”.
A medio termine è inoltre previsto un registro nazionale del diabete, che consentirebbe un intervento e un’allocazione e impiego di risorse più calibrato e appropriato.
Osserva in proposito Del Prato: “La necessità di un registro certo che monitorizzi in modo adeguato prevalenza e bisogni per la gestione delle persone con diabete deve essere considerata prioritaria nell’ottica di un processo di omogeneizzazione sul territorio nazionale”
Il modello italiano: secondo Giorda, caratteristica primaria di questo piano è di sancire per legge che il modello di cura italiano, ammirato e studiato all’estero, con 650 centri attivi sul territorio nazionale e basato sull’interazione tra diabetologi, medici generalisti e specialisti di patologie connesse al diabete, è quello più efficace per mantenere un alto livello di cura. Il presidente di Amd richiama il dato secondo cui l’assistenza integrata specialista-medico di famiglia è in grado di ridurre del 30% le complicanze e il tasso di mortalità e sottolinea il valore del ruolo delle associazioni dei pazienti.
Anche la Sid sottolinea come l’Italia sia uno dei pochi Paesi “dotati di una rete specialistica sufficientemente diffusa e tale da avere garantito risultati importanti per la prevenzione delle complicanze” e quindi saluta con soddisfazione il progetto di implementare un sistema integrato, proiettato verso un disegno reticolare multicentrico, mirato a valorizzare sia la rete specialistica diabetologica sia tutti gli attori della assistenza primaria.
Ora la palla passa alle Regioni, che dovranno concretamente e coerentemente attuare il Piano, mirando alla uniformità dell’assistenza in tutto il Paese. La raccomandazione che i diabetologi rivolgono ai politici è però di non smantellare una rete di servizi che funziona, anche se ci troviamo in piena crisi economica e proprio la sanità è presa di mira dai tagli.
Per parte sua, Amd ritiene che i risparmi sulla spesa per il diabete si possano e si debbano realizzare, ma in maniera ragionata e in armonia con i principi del Piano nazionale. A cominciare dalla prevenzione e dalla diagnosi precoce, che, contrastando l’insorgenza di nuovi casi da un lato e lo sviluppo delle complicanze dall’altro, contribuiscono a ridurre la spesa. In secondo luogo, si possono seguire criteri di razionalizzazione che il presidente Giorda ha illustrato in un ampio pezzo per il Sole 24 Ore Sanità del 22-28 gennaio 2013. Sul Giornale di Amd (vol. 15, n. 4/2012 su www.aemmedi.it) in un articolo a quattro mani scritto con Maria Franca Mulas, Giorda ricorda che l’assistenza al diabete è una componente essenziale nel controllo degli alti costi sanitari del diabete, che in Italia rappresentano il 9-11% della spesa sanitaria totale, circa 9,22 miliardi di euro all’anno. Ricoveri ospedalieri, complicanze croniche, assistenza specialistica, farmaci pongono il diabete al secondo posto tra le patologie con i più alti costi diretti. Solo il 29% è però legato al consumo dei farmaci per il diabete e le patologie concomitanti, mentre il 57% è relativo al ricovero ospedaliero e il 14% alle prestazioni specialistiche.
“Quello del diabete -scrive Giorda sul Sole- è certamente uno dei settori dove è possibile intervenire con importanti razionalizzazioni della spesa”, da stabilire però consultando chi conosce il problema da vicino, cioè i professionisti coinvolti, inclusi i clinici. Il presidente di Amd individua tre aree di intervento: presidi diagnostici, ricoveri da inappropriata gestione sul territorio e degenza media intraospedaliera. Sui presidi lo Stato spende (dati 2011) 333,4 milioni di euro (il 91,9% per le strisce): data la cospicua diversità di prezzo da Regione e Regione, si potrebbe ottenere un risparmio di 40,9 milioni se le Regioni pagassero il valore corrispondente al prezzo mediano. Nello stesso tempo, Giorda raccomanda di vigilare sui pericoli di una corsa al ribasso del prezzo che comporti abbassamento della qualità del prodotto e suggerisce un rigoroso controllo preventivo da parte di un’agenzia indipendente facente capo al ministero della Salute in accordo con le società scientifiche.
Costi e risparmi: per quanto riguarda i ricoveri, Giorda sottolinea che 1 su 5 dei ricoverati per qualsiasi causa negli ospedali italiani è affetto da diabete e ha una degenza media più lunga di 2-4 giorni rispetto agli altri. Una stima prudente indica un costo di 8.800 euro a ricovero. Molti ricoveri sono però. “marcatamente inappropriati”: sono quelli dovuti a scompenso glicemico senza complicanze. Proprio seguendo la filosofia del piano diabete, Giorda ricorda che “un’efficace presa in carico sul territorio di questi pazienti, senza aumento delle risorse, può ridurre l’ospedalizzazione del 50%”, con un risparmio di 55 milioni di euro. Almeno altri 61,5 milioni si potrebbero risparmiare evitando un 10% di ricoveri in pazienti con complicanze. Ancora di più si potrebbe fare riducendo le giornate di degenza in ospedale del 30-40%: un risultato che si può ottenere con “la creazione di una task force basata sul team diabetologico, molte volte già presente nel presidio ospedaliero, che prenda in carico prima durante e dopo il paziente”. Si potrebbe arrivare a una riduzione dei costi di oltre un miliardo di euro. Questi sì, secondo Giorda, sarebbero “interventi razionali davvero mirati su inefficienze e non ottusi tagli lineari”. È dunque anche su queste questioni che si misurerà l’attuazione pratica del Piano nazionale diabete, a cui, in ogni caso, diamo tutti il nostro benvenuto.