Aggiornamento
DIABETE INSULINODIPENDENTE: TERAPIA E TECNOLOGIA
Il tipo 1 guarda al futuro
I progressi della infusione insulinica e del monitoraggio continuo, associati al classico autocontrollo, lasciano ben sperare in una sempre migliore gestione della patologia
prof. Paolo Brunetti
Direttore Dipartimento di Medicina interna Università degli Studi di Perugia
I notevoli progressi compiuti dalla tecnologia in tempi recenti ci rendono fiduciosi sulla possibilità che, nel prossimo futuro, i diabetici di tipo 1 potranno godere di nuovi presidi terapeutici capaci di restituire loro una condizione di quasi normalità e di liberarli, in buona parte, dal timore delle complicanze acute e a lungo termine che il diabete non ben controllato comporta.
Gli studi clinici e, in particolare, il Dcct, ci hanno ormai dimostrato, da oltre 15 anni, che è necessario mantenere la glicemia in un ambito di quasi normalità per prevenire la comparsa, nel tempo, delle complicanze microangiopatiche, come la retinopatia, le nefropatia o la neuropatia periferica, e di quelle macroangiopatiche, cardiovascolari. Basti ricordare che una diminuzione della HbA1c (emoglobina glicata) di solo l’1% consente una riduzione del rischio di retinopatia del 40%. Tutte le società scientifiche sono perciò concordi nel ritenere che la glicemia a digiuno e prima dei pasti dovrebbe rimanere in un ambito compreso fra 90 e 120 mg/dL e quella delle due ore dopo i pasti al di sotto di 140 mg/dL con un valore di emoglobina glicata (il valore medio della glicemia delle ultime 10 settimane) inferiore al 7%.
Una condizione fondamentale per il conseguimento di questi traguardi è l’adozione di una terapia insulinica intensiva consistente nella iniezione di una dose di insulina rapida prima di ogni pasto e di una insulina basale in una unica somministrazione giornaliera. Spesso è necessario integrare questo schema con boli supplementari di insulina nel pomeriggio o in occasione di punte iperglicemiche che si verificano durante la giornata. Questa terapia, definita multi-iniettiva, è stata facilitata dalla introduzione degli analoghi rapidi dell’insulina (insulina lispro, aspart e glulisina) e degli analoghi ad azione ritardata e, fra questi, l’insulina glargina. Infatti, l’insulina glargina, per la sua durata di azione (circa 24 ore), per l’assenza di un picco di assorbimento dal tessuto sottocutaneo e, di conseguenza, per un andamento assai piatto della sua attività, maggiormente si presta, rispetto ad altre forme insuliniche, a restaurare l’insulinemia basale dei diabetici di tipo 1, totalmente insulino-privi.
Anche se l’introduzione della insulina glargina ha consentito un notevole progresso nello sviluppo di una terapia insulinica più vicina al modello fisiologico, risultati ancora migliori, nella pratica clinica, possono essere ottenuti con la terapia insulinica infusionale mediante microinfusore. Il vantaggio della infusione insulinica continua sottocutanea consiste nell’impiego esclusivo di un analogo dell’insulina ad azione rapida, infuso in modo continuo, con una velocità di infusione variabile durante la giornata in rapporto alle necessità individuali, con l’aggiunta di boli aggiuntivi in corrispondenza dei pasti. Studi di confronto fra la terapia infusionale e quella multi-iniettiva con l’impiego di glargina, hanno dimostrato come, con la prima, si ottenga una minore esposizione, nell’arco della giornata, a valori elevati di glicemia senza un incremento dell’incidenza delle ipoglicemie e una riduzione della ampiezza delle oscillazioni giornaliere della glicemia.
E’ importante infatti sottolineare come alla genesi delle complicanze croniche del diabete contribuiscano non solo i valori cronicamente elevati della glicemia, ma anche innalzamenti critici e transitori della glicemia, come possono verificarsi dopo i pasti o anche indipendentemente da questi, particolarmente nel diabete di tipo 1, caratterizzato spesso da un’ampia variabilità dei valori glicemici. Depongono in questo senso, numerosi studi osservazionali e di intervento che hanno dimostrato come i valori di glicemia registrati una-due ore dopo i pasti rappresentino un indicatore indipendente -e anche più efficace della glicemia a digiuno- della futura comparsa di complicanze croniche.
Le cause della pericolosità degli innalzamenti acuti della glicemia risiedono nello stress ossidativo che i picchi iperglicemici producono, particolarmente a livello della parete vasale. Il glucosio ha infatti libero accesso alle cellule endoteliali che non sono insulinodipendenti e ciò determina, in presenza di iperglicemia, una concentrazione intracellulare di glucosio elevata quanto quella presente nel sangue circolante. L’eccesso di glucosio che deve essere metabolizzato manda in tilt, nelle cellule endoteliali, il sistema mitocondriale deputato alla sua ossidazione e provoca la formazione di radicali liberi di ossigeno e, in particolare, di superossido. Il superossido, a sua volta, induce una sintesi in eccesso di ossido di azoto (NO) e, insieme con questo, dà origine a composti fortemente ossidanti come il perossinitrito e la nitrotirosina che provocano un danno endoteliale, primo passaggio verso le complicanze micro e macrovascolari. Lo stress ossidativo è anche alla base della ossidazione delle lipoproteine a bassa densità (Ldl), fortemente aterogene e della attivazione della coagulazione che facilita i fenomeni trombotici.
Tutto ciò dà un fondamento alla necessità di mirare, nella attuazione della terapia insulinica intensiva, non solo a un valore di glicemia media prossimo alla norma e quindi a un valore di HbA1c inferiore al 7%, ma anche alla minore possibile variabilità dei valori glicemici durante la giornata.
Non potremmo raggiungere gli obiettivi di controllo metabolico descritti senza ricorrere con assiduità e precisione all’autocontrollo della glicemia mediante gli strumenti di misurazione e le strisce reattive. In corso di terapia sia multi-iniettiva sia infusionale, è necessario monitorare la glicemia prima e due ore dopo i pasti -preferibilmente dall’inizio dei pasti- e prima di andare a letto o, saltuariamente, anche durante la notte. Poiché non sono ancora disponibili metodi incruenti affidabili di misura della glicemia, l’automonitoraggio obbliga, ogni volta, al prelievo dal polpastrello del dito di una goccia di sangue necessaria per la determinazione.
Sfortunatamente, malgrado l’adozione di una terapia insulinica intensificata e dell’automonitoraggio della glicemia -compiti peraltro non poco gravosi per i pazienti- una percentuale ancora minoritaria di diabetici di tipo 1 riesce a conseguire l’obiettivo di una HbA1c inferiore al 7%. Inoltre, l’automonitoraggio della glicemia con strisce reattive non riesce a identificare dal 60 al 90% delle ipoglicemie occorse durante la giornata. Particolarmente temibile è il mancato riconoscimento di una ipoglicemia notturna, eventualità che spesso dissuade i pazienti dalla applicazione di un regime di terapia insulinica intensiva. Analogamente, per l’impossibilità di praticare più di alcuni controlli della glicemia al giorno, non si hanno sufficienti informazioni sulla frequenza degli episodi iperglicemici e, in definitiva, sul grado di variabilità della glicemia nel corso delle 24 ore.
Un consistente passo in avanti nella soluzione di questi problemi è stato realizzato con l’introduzione dei sistemi di monitoraggio continuo della glicemia basati sull’impiego di sensori ad ago che utilizzano una metodica basata sull’enzima glucosio-ossidasi.
Non possiamo poi non sottolineare come l’attuale possibilità di associare, nello stesso strumento, l’infusione insulinica al monitoraggio continuo della glicemia (di cui parliamo in altra parte di questo dossier) apra la strada verso la realizzazione di un sistema automatico di infusione insulinica autoregolata dalla misura della glicemia tramite il sensore. In altri termini, un vero e proprio pancreas artificiale, un obiettivo al quale tendiamo da oltre 30 anni e che, ci auguriamo, possa essere raggiunto nel prossimo futuro.
LE LINEE GUIDA DELL’ADA
Fare la diagnosi con la glicata
L’American diabetes association ha promosso l’esame dell’emoglobina glicata come strumento per diagnosticare il diabete, indicando come valore-soglia il 6,5%. Secondo la Ada, questa analisi -che consente di individuare la glicemia media delle ultime dieci settimane- presenta molti vantaggi rispetto alla glicemia basale o postprandiale: miglior indice di esposizione glicemica; più efficace spia delle possibili complicanze a lungo termine; minore variabilità; maggiore semplicità della rilevazione (non occorre essere a digiuno o attendere determinati momenti della giornata); relativa insensibilità agli episodi acuti di iperglicemia occasionale.
La misurazione della glicemia a digiuno resta peraltro sempre valida come criterio diagnostico e, secondo l’associazione americana, il valore limite è quello di 126 mg/dL. Accanto a questo test e alla glicata, la Ada riconosce come indicatori di diabete livelli di glicemia superiori ai 200 mg/dL in seguito a “curva da carico”, due ore dopo l’assunzione di 75 g di glucosio con acqua, o rilevati con controlli in pazienti con classici sintomi di iperglicemia.
UNO STUDIO AMD-MARIO NEGRI SUD
Controllo migliore se ti assiste un team
I risultati preliminari dell’importante progetto di ricerca Quasar (realizzato in collaborazione tra Amd e Consorzio Mario Negri Sud) mostrano che l’esistenza nei centri diabetologici di una organizzazione per l’assistenza integrata del paziente migliora significativamente la qualità della cura. Infatti, nei centri in cui opera un’équipe dotata di risorse mediche specialistiche (diabetologo, oculista, eccetera), infermieristiche e di professionisti sanitari come dietista, podologo, psicologo e relativi ambulatori specializzati, è possibile tenere sotto controllo tutti gli aspetti della complessa condizione diabetica e raggiungere più soddisfacenti esiti clinici.
I pazienti seguiti dai centri così equipaggiati mostrano una tendenza al miglior controllo della glicemia (66,7% dei casi con valori di emoglobina glicata inferiori a 7%, contro un dato tra il 62 e il 66% in chi è curato in centri meno strutturati). Anche la pressione arteriosa risulta meglio controllata: il 43,2% ha valori entro le soglie stabilite dalle linee guida internazionali, ossia inferiori a 130/85 mmHg, rispetto al 33-38% di chi viene assistito in centri meno attrezzati. Non sono state invece registrate differenze significative per quanto riguarda il controllo del colesterolo