La testardaggine positiva: intervista a Chiara La Gioia 

Fin da quando è bambina c’è una presenza costante nella vita di Chiara La Gioia: l’amore per la danza

Anche la nostra chiamata viene fatta dal Centro Nazionale di Perfezionamento della danza MSPDSTUDIOS dove sta studiando come professionista. E per la danza Chiara ha fatto tutto, compreso uscire dalla paura di parlare del proprio diabete

“Ci sono foto di me a un anno e mezzo, con ancora il ciuccio, che ballo nei villaggi vacanze. Già dai 3 anni e mezzo, lo stesso anno dell’esordio, ho iniziato a ballare in una scuola. Sono sempre stata testarda, ho stressato mia mamma finché non mi ha iscritto.” 

Di certo il diabete non avrebbe fermato questa passione. 
Lo stigma che lo circonda sì, ma solo per poco. 

“La prima scuola non mi volle accettare, ci abbiamo messo un po’ a trovarne una che mi prendesse. Il compromesso è stato far sedere mia mamma nella sala d’attesa finché non sono stata in grado di gestire le punture da sola.” 

La convivenza con il diabete non è serena fino alle medie.  

“Non volevo nessun dispositivo troppo visibile, fino alle medie mi sono vergognata un sacco di avere il diabete, proprio tanto. Perché la gente è cattiva… e un po’ ignorante. 

Una verità così dolorosa, pronunciata con tanta semplicità colpisce ancora di più per potenza e per gravità. Ma lo spirito di Chiara si fa sentire anche qui.  

“Per esempio, a scuola dovevamo scegliere delle persone per fare una gara e una compagna mi disse letteralmente che non valeva la pena che io mi impegnassi, che tanto come malata non mi avrebbero scelto. Poi alla fine? Hanno preso mee ride soddisfatta. 

Sappiamo bene che la vita con diabete è un delicato quanto precario equilibrio, che il rischio di essere eccessivamente positive cancellando parti importanti della vita di chi ha il diabete è sempre dietro l’angolo. Ma questo spirito forte sotto forma di ventenne ballerina è davvero ammirabile, quasi invidiabile a dirla tutta. E come tante cose belle della vita, è anche la conseguenza di un percorso psicologico strutturato. 

“Ero così piccola che davo la colpa a mia mamma, le dicevo che era lei ad avermi fatto ammalare portandomi in ospedale. Così lei capì che mi serviva aiuto. Ho fatto un percorso con una psicologa pediatrica che adesso chiamo zia e mi ha aiutato davvero tanto.” 

Ad oggi, Chiara rivendica con orgoglio ogni scelta, la sua identità di diabetica (che ha impresso tatuandosi la data dell’esordio) il raggiungimento di un grande obiettivo, quello di trasferirsi fuori casa per studiare a Roma, ma anche la soddisfazione di aver detto quello che pensa ad altri genitori di persone con diabete a un evento, un messaggio insolito che ci teniamo a diffondere. 

Ho detto loro che dovevano mettersi nei nostri panni e capire che siamo noi a stare peggio, non loro. Io non lo so ancora cosa vuol dire essere genitore, ma sono io, siamo noi, a convivere con questa malattia, siamo noi che dovremo cavarcela quando loro non ci saranno più. Devono sapere fare un passo indietro, lasciarci vivere la vita appieno, anche con il diabete.”