Lotto dalla quinta elementare, ma non per il diabete: Virginia e la sua arte 

Amati, odiati, guardati con ammirazione o sospetto: i tatuaggi, è indubbio, sono una forma di espressione personale capace di distinguersi per le reazioni che ispirano.  

Ma cosa succede quando, non solo sono un sogno che si realizza, ma anche quell’aiuto inaspettato che ti salva la vita? Questa è la storia di Virginia (o meglio, la seconda parte): tatuatrice e pittrice di murales professionista, ma anche trentenne con una diagnosi tarda di diabete 1. 

La sua passione per queste arti, racconta, è iniziata in quinta elementare: è da allora che lotta per renderle il suo letterale pane quotidiano. Da nove anni a questa parte c’è riuscita, credendo nella sua passione, facendo due lavori e convivendo, da sette anni a questa parte, con il diabete 1. Quando si tratta di quest’ultimo, sono proprio i tatuaggi ad averla salvata.  

“Avevo 25 anni, lavoravo da 2 e l’ho scoperta grazie a una cliente. Mentre la tatuavo le ho raccontato che mi svegliavo di notte, che avevo la bocca secca, e facevo tantissima pipì. Lei mi ha messo la pulce nell’orecchio, mi ha consigliato di chiedere al medico suggerendo l’ipotesi di diabete. Ho fatto le analisi del sangue, et voilà, diagnosi. Ti rendi conto? Il raccontare i fatti i miei mentre tatuo mi ha permesso di arrivare da sola sulle mie gambe in ospedale, senza esordi violenti!”  

A quel punto Virginia i suoi tatuaggi li ha già e questo provoca lo scontento di un’infermiera, che spesso la rimprovera con una certa ignoranza. 

“Negli anni ho imparato che ci sono due tipi di medici o di personale sanitario quando si tratta di diabete e tatuaggi. Uno è il medico ignorante che te lo vieta a prescindere perché ha pregiudizi. È vero che chi non ha un diabete ben compensato può incorrere più facilmente nel rischio di infezioni. Il punto è quello, però, trattare prima il diabete e poi eventualmente fare il tatuaggio. Noi tatuatori poi abbiamo il dovere di spiegare questi rischi, di informare correttamente i clienti, ricordando che in caso di diabete avranno una guarigione più lenta e fare loro firmare i documenti appropriati, ma finisce lì.” 

Come tante cose, serve informazione e preparazione. 

A chi si vuole tatuare consiglierei di pensarci bene (diabete o no). E di non farlo prima dei 20 anni. Non importa se hai il permesso dei genitori, aspetta di essere un po’ più grande e convinta/o. I tatuaggi sono opere d’arte, io non compro quadri, colleziono tatuaggi di artisti diversi…” e l’arte, giustamente, va trattata con tutte le cure necessarie. 

Tenendoci così tanto, la domanda sorge spontanea: è stato difficile apporre il dispositivo per il controllo del diabete su un tatuaggio? 

“Assolutamente no. Non che avessi molta scelta, ma nessun problema. Mi fa sempre molto ridere che la gente lo scambi per un tipo di piercing. A ballare poi mi hanno chiesto le cose più assurde, ad esempio se fosse un antitaccheggio”. 

Nel caso avrebbe funzionato: il diabete non ha derubato Virginia di niente. La sua vita è sempre piena di lavoro, concerti, eventi, perché “…voglio dimostrare a me stessa che sono un normale essere umano con un difetto di fabbrica. L’unica cosa che mi dà da pensare è la maternità, su cui il diabete potrebbe mettermi in difficoltà.” 

Ma persino nel raccontare le sue paure, ritroviamo la speranza e l’assertività di quella bambina che già in quinta elementare aveva deciso che sarebbe diventata un’artista.