Quel microcosmo che si chiama famiglia. La storia di Marco Marinelli

“Ti va di raccontarmi una vostra domenica?”
“Prima di tutto, ce la prendiamo comoda di domenica. Ci alziamo con calma e andiamo in spiaggia, se c’è bello. Oppure c’è sempre qualche festa di compleanno.”
Questo è il normale fine settimana di Marco, 44 anni, e Naya, 6.
Padre e figlia.
“Ti sei sempre immaginato papà?”
“Veramente no. Mi dicono però che sono un ottimo padre. Mi impegno molto per esserlo. E con lei mi viene totalmente naturale. Il senso di protezione è naturale. Sapere cosa fa, come sta. Esserci sempre.”

La famiglia è un microcosmo che assume molte configurazioni. Questa è una. Un padre e una figlia.
Lui, Marco, deve accudire, sebbene in forma diversa, anche il suo diabete.
“A volte Naya mi aiuta. Mi disinfetta, mi assiste mentre posiziono il microinfusore. Per lei è una cosa naturale, di cui parliamo”.
Me la immagino la piccola Naya che si prodiga in quei gesti che forse, per una bambina sono poco più di un gioco, mentre in realtà salvano la vita.
Le prospettive sono sempre una faccenda intrigante. Vorrei non dimenticarmi mai di riservare alle cose anche uno sguardo da bambino.

Marco ha 31 anni quando avviene l’esordio. In famiglia, aveva già vissuto il caso del padre, che era diventato diabetico a 43 anni.
Mi dice che la parte più penosa è sempre stata la gestione dello stress, la spossatezza e l’annebbiamento mentale. Questo l’aveva portato a pensare che d’ora in avanti avrebbe dovuto rinunciare a molte cose nella sua vita.
Eppure una vita troppo tranquilla, la sua, non è mai stata, e si è trovato ad affrontare diverse vicissitudini.
Come quando, per lavoro, si trovava in Africa e aveva messo l’insulina in frigorifero. Solo che per molto tempo era mancata la corrente e l’insulina era diventata inutilizzabile. Oppure mi racconta di un ritorno aereo Dubai-Roma nel quale non è gli è stato permesso, inspiegabilmente, di portare con sé l’insulina.
“È andata bene”, mi dice, “ma ho rischiato grosso”.
E poi un matrimonio che non è andato in porto, lutti molto importanti da sostenere nella sua cerchia famigliare.
Imprevisti su imprevisti e una tempra da lottatore.
“Non posso fare programmi, vivo giorno per giorno. Ma sono combattivo, non mi lascio sopraffare”.

La dedizione per Naya è la sua cura. Averne ottenuto la custodia, la sua benedizione.
E il racconto della loro giornata insieme prende il sopravvento su tutto. Sui tratti drammatici della vita, sulle prove continue alle quali ci mette di fronte. Ma loro due camminano fianco a fianco.
“Non ho un sogno più grande di vederla felice… e spero non le venga il diabete”.
“Il diabete ti fa paura?”
“Non posso negare che mi abbia cambiato. Però sono convinto che se gestito bene, può addirittura allungarci la vita. Ti costringe a vivere in maniera corretta, ad essere responsabile di te stesso. Io credo sia molto importante interrogarsi costantemente sulla malattia. Non tutti lo fanno. È necessario informarsi. È necessario conoscere tutto ciò che accade al nostro corpo. Sapere leva da uno stato di ignoranza”.

E poi mi lascia di stucco, dicendomi: “Avere il diabete mi ha permesso di incontrare persone fantastiche. La considero una grande fortuna.” Sta parlando del gruppo col quale pratica subacquea grazie a Diabete Sommerso.
“Quando siamo stati a Ustica, è venuta anche Naya. Tutti se ne prendevano cura. È stata una grande esperienza anche per lei”.
Insomma una grande famiglia. Perché è chiaro che la famiglia non è solo quella di appartenenza, ma anche quella a cui apparteniamo per scelta.
L’ho detto e lo confermo: la famiglia è un microcosmo che assume molte configurazioni.

A cura di Patrizia Dall’Argine