Ci sono storie che sembrano il riassunto di motti, di mantra, di modi di dire o proverbi.
Più Monique Baldacchino si inoltra nella sua e più a me appaiono in testa queste parole: “Non è finita, finché non è finita”.
La storia della sua vita prende forma da subito attraverso un italiano perfetto, ma che a tratti si arrotonda e diventa ancora più sinuoso grazie al francese d’origine che si fa sentire.
Quando una persona ha nel cuore due lingue, c’è sempre un passato interessante. E infatti il padre di Monique era un console francese e già dalla sua prima infanzia, Monique inizia a viaggiare. Studia in Tunisia, poi in Francia, però è in Italia che diventa pediatra. Ma in mezzo, a 23 anni, c’è l’esordio del diabete.
“Si parla di quasi 40 anni fa” mi dice “ Le terapie erano molto diverse. C’erano le siringhe con i flaconi; mi guardavano come se fossi una drogata. Ricordo che sulla porta della mia stanza, nell’ospedale in Francia in cui mi trovavo, avevano scritto a grandi lettere “DIABETICA”: ero già marchiata, etichettata. Erano tempi molto diversi, si sapeva poco del diabete, il regime alimentare era rigidissimo, i medici trasmettevano più paure che speranze. Ho avuto momenti di grande crisi, poi mi sono detta: è così, o è così. O faccio la malata tutta la vita, o faccio la persona che deve gestire un problema in più”.
Neanche da dire: ha scelto la seconda opzione.
Si è rialzata e si è messa a ristudiare, con fatica, perché il diabete non è un compagno gentile nella gestione dello stress; inoltre viveva da sola visto che i suoi erano lontani, sempre in missione all’estero. “A un certo punto ero decisa a smettere e ne parlai con un il professor Rugarli, che considero il più grande maestro incontrato nella mia vita. Mi disse: ‘Signorina Baldacchino, mi darebbe un grande dispiacere sapere che abbandona la carriera di medico’”.
A volte ci sono persone che incontriamo al momento giusto, nel luogo giusto, che pronunciano parole in grado di definire per sempre il corso degli eventi.
Monique doveva essere medico. Monique doveva essere pediatra, perché la sua vita ha a che fare con ciò che nasce e con la cura e l’accudimento che ne consegue.
Cura e accudimento che ha dedicato alle persone che ama e amava in tutte le fasi decisive, delicate e difficili che hanno caratterizzato la sua esistenza.
Una donna che ha avuto la grande gioia di adottare un bambino, che si è prestata per anni alla cura dei suoi genitori – facendo spola tra Italia e Francia ogni 15 giorni – e che nonostante un matrimonio disastroso, non ha mai smesso di credere nell’amore.
E più ci addentriamo nella sua vita e più il diabete passa in secondo piano. È lì. Ancora lì. Sempre lì, anche adesso che Monique di anni ne ha 63 – e sarebbe un bel sogno sperare che a un certo punto si stanchi e semplicemente se ne vada per sempre – eppure sono altre le cose che lei mi deve dire e che io desidero ascoltare.
Sono affascinata dalla forza che ogni essere umano è in grado di tirare fuori quando sui piatti della bilancia ci sono coloro che amiamo.
Questa donna non si è arresa mai. Non si è riposata mai. Ha avuto a che fare con i bambini per tutta la vita, e forse è un punto di vista privilegiato. Sono loro i primi a dirci che non è finita finché non è finita. Ogni bambino che nasce lo dice. E lei era lì ad ascoltarla ancora e ancora questa folgorante verità. E l’ha saputo fare con un’empatia potenziata, perché quando sei paziente – in questo caso di una patologia cronica – forse sei anche un medico migliore. Sai cosa significa avere paura, sentirsi soli, sentirsi vinti, dover combattere, non essere sicuri di sapere come si fa.
Da 10 anni Monique si offre come pediatra volontaria per accompagnare bambini e giovani malati a Lourdes, durante il Pellegrinaggio Internazionale dell’Ordine dei Cavalieri di Malta.
Una vita densa, intensa, la sua, che non smette di regalare sorprese: “A 61 anno ho realizzato il sogno che avevo da 20. Tramite Diabete Sommerso ho ottenuto il brevetto per fare subacquea, ho conosciuto persone splendide, ho potuto nuotare nelle acque cristalline delle barriere coralline e mi sono nuovamente innamorata di un uomo meraviglioso. Non bisogna rinunciare mai. Questo l’ho imparato dai miei genitori. Anche quando erano gravemente malati non hanno mai smesso di ridere”.
Così come ride Monique in questa foto, prima di immergersi in acque profonde, bellissime.
Personalmente io credo, da molto tempo oramai, che le storie degli altri ci curino. Che nei racconti delle esperienze altrui possiamo trovare delle verità che riconosciamo, che ci parlano. A volte sono esperienze che abbiamo vissuto, altre volte sono esperienze che ci ispirano, che ci spronano.
È buona cosa restare in ascolto.
A cura di Patrizia Dall’Argine