Piccole luci e dove trovarle. Il racconto di Tiziana Baravex

Se c’è qualcosa che accomuna tutte le mamme di bambini e ragazzi diabetici è la precisione.
Nessuna mamma potrà dire che la prima glicemia di suo figlio era poco meno di 300, ad esempio. 
Ti dirà: “Era 286”. Come sta facendo ora, Tiziana, raccontandomi dell’esordio di sua figlia Giulia. 
Una mamma non si ricorda per difetto e nemmeno per eccesso. Si ricorda per quello che era. 
Si ricorda di quel numero che le ha cambiato la vita e per questo gli riconosce la verità delle sue centinaia, delle sue decine e delle sue unità.
Da lì in avanti, i numeri fanno parte della quotidianità di una persona con diabete e, in parallelo, dei suoi famigliari. 
Da lì avanti, i numeri possono portare gioia e frustrazione come mai prima.

Lo sa bene il marito di Tiziana, davanti agli inspiegabili picchi glicemici di Giulia.
Non si dà pace. 
Eppure è stato fatto tutto bene. La conta dei carboidrati, le unità di insulina. E allora cosa c’è? Perché non si può avere controllo completo di ciò che accade nel nostro corpo?
Il diabete, lo sappiamo, sa essere imprevedibile, coglie di sorpresa, cambia e muta in continuazione. Ed è anche per questo che non esiste un diabete uguale a un altro. Che non esistono formule magiche, ma una coscienza vigile e attenta, una lettura costante di ogni minima variazione.

Giulia, che è la protagonista di questa storia, ha avuto l’esordio a sette anni. Ora è al primo anno di liceo classico.
“Ricordo che la prima iniezione le è stata fatta il primo di dicembre, e il sette di gennaio aveva già iniziato a farsi l’insulina da sola. È sempre stata collaborativa. Ha sempre voluto sapere tutto, e noi non le abbiamo sottratto nulla”.
Con queste premesse è iniziata quella che Tiziana definisce la “loro nuova vita”. 
La domanda che vorrei farle, ma che non verbalizzo, è la seguente: cosa può rendere più dolce questa nuova vita?
Tiziana mi risponde, sebbene implicitamente, col racconto di quello che è accaduto dopo. 
Con quelle che definirei, le piccole luci

Perché mi immagino, anche dalla commozione della sua voce che trema, ripercorrendo quei momenti, che per un periodo sarà stato buio pesto. 
Accende una piccola luce una maestra disponibile, che ha voglia di capire come funziona il diabete di tua figlia.
Accende una piccola luce avere accesso alla tecnologia. Poter usufruire di sensore e microinfusore e di una app che ti segnala le glicemie di tua figlia anche quando è lontana. 
Accende una piccola luce essere seguiti da un diabetologo, da un dietista, da uno psicologo
Accende una piccola luce, poter far provare a tua figlia l’esperienza dei campiscuola, un’esperienza intensa che porta a nuove consapevolezze e alla chiara visione di non essere soli in questo viaggio. 
Accendono piccole luci i compagni di classe di tua figlia che le ricordano di provarsi la glicemia quando lei se lo dimentica. 
Accende una piccola luce ogni genitore che sta vivendo la stessa cosa che vivi tu e che può dirti, senza falsa retorica: “So cosa stai provando”
E accende una piccola luce, la sospensione del giudizio da parte di chi invece non sa nulla a riguardo. Perché mai come in certi casi, il silenzio è oro. 

Insomma io, dopo quest’intervista con Tiziana, penso che ogni tunnel ha le sue crepe. Non esiste un buio eterno. La grazia di piccoli gesti può riempire anche lo sgomento più grande, la paura più profonda. 
Io la vedo Giulia, sul dizionario di greco – e per scegliere di starci su un dizionario di greco, bisogna essere combattivi per forza – che alterna lo studio con cavalcate, arrampicate, trekking nella sua stupenda Valle d’Aosta.
La vedo proprio come la descrive la sua mamma, che si presenta alla classe dicendo: “Ciao, sono Giulia e ho il diabete”, che ride e si diverte e che a volte vorrebbe non averlo quel fardello. 
Perché non esiste persona a questo mondo che possa accettarlo tout court, senza avere cedimenti. 
I cedimenti ci servono in fondo. Altrimenti come faremmo a vedere le piccole luci?

A cura di Patrizia Dall’Argine