Se scocca l’ora dell’insulina

CURA DEL DIABETE DI TIPO 2
Se scocca l’ora dell’insulina

Come iniziare e come aggiustare la terapia iniettiva quando gli ipoglicemizzanti orali non bastano: scelta della forma più idonea, dosaggi calibrati e regolare automonitoraggio pemettono un buon controllo.

di Paolo Brunetti già professore ordinario di Medicina interna all’Università di Perugia

La crescente diffusione del diabete di tipo 2, che si sviluppa in concomitanza con la parallela diffusione dell’obesità, comporta inevitabilmente un ricorso sempre maggiore alla terapia insulinica. Malgrado l’applicazione delle modificazioni dello stile di vita e la disponibilità attuale di  numerose classi di ipoglicemizzanti orali, giunge infatti, il più delle volte, il momento di ricorrere alla terapia insulinica per mantenere gli obiettivi metabolici considerati necessari per la prevenzione delle complicanze micro e macrovascolari.

In realtà, già al momento della comparsa del diabete, la capacità del pancreas di secernere insulina è ridotta del 50% e questa residua capacità funzionale delle cellule beta è destinata a ridursi progressivamente nel corso del tempo. Il processo può essere ritardato con una impostazione corretta della terapia ipoglicemizzante che privilegi, nella fase iniziale della malattia, l’impiego di farmaci attivi sulla resistenza insulinica -che rappresenta il primum movens nella genesi del diabete di tipo 2- o che migliorino il trofismo e l’efficienza funzionale delle cellule beta, (come i medicinali a effetto incretinico), ma, a lungo andare, è assai probabile che la terapia orale si riveli inefficace nel mantenere i valori della glicemia e della emoglobina glicata al di sotto dei livelli di guardia. Questa eventualità è tanto più frequente quanto più precoce è, nella vita individuale, l’insorgenza del diabete e quindi maggiore il rischio della comparsa di complicanze croniche.

Si ritiene oggi concordemente che il valore della emoglobina glicata, che esprime il valore integrato della glicemia dei precedenti due mesi, debba essere mantenuto al di sotto del 7%. I vari studi di intervento fin qui eseguiti, ci hanno tuttavia insegnato anche che la terapia ipoglicemizzante deve essere fortemente individualizzata. Nei soggetti meno anziani, con minore durata della malattia e privi di malattie cardiovascolari clinicamente evidenti, può essere corretto mirare a una quasi normalizzazione della glicemia e della glicata, mentre nei diabetici di maggiore età, con più lunga durata del diabete, e con malattie cardiovascolari in atto, può essere necessario accontentarsi di un valore di emoglobina glicata anche superiore in varia misura al 7%. Un controllo glicemico troppo stretto in soggetti particolarmente fragili, e quindi anche più esposti al rischio dell’ipoglicemia, può sortire infatti, anziché un beneficio in termini di prevenzione di morbilità e di mortalità cardiovascolare, un effetto neutro o addirittura negativo.

Imparare il dosaggio
Una volta stabiliti gli obiettivi, se la terapia orale si rivela insufficiente, occorre passare al più presto a quella insulinica, scegliendo, fra le numerose preparazioni di insulina di cui disponiamo, le più idonee alla condizione della persona e fornendo ai pazienti diabetici un algoritmo che consenta loro, sia pure con la supervisione del medico generalista o dello specialista diabetologo, di aggiustare le dosi in rapporto agli obiettivi glicemici proposti.

Tra le forme insuliniche disponibili, quelle che offrono una maggiore flessibilità e sicurezza di impiego sono gli analoghi ad azione ritardata e rapida. Quando il controllo della glicemia non è più garantito dagli ipoglicemizzanti orali è opportuno iniziare tempestivamente la terapia insulinica.

In proposito, la Ada (American diabetes association) e la Easd (European association for the study of diabetes) hanno suggerito congiuntamente un algoritmo che consente di bilanciare correttamente i dosaggi a seconda dell’andamento glicemico del singolo paziente.

La scelta del tipo giusto
Lo studio Treating to target in type 2 diabetes (4-T)ha dimostrato al proposito la superiorità della insulina basale rispetto a una insulina bifasica (premiscelata), nell’avvio della terapia insulinica, sia sotto il profilo di un miglior controllo della glicata sia per una minore incidenza di episodi ipoglicemici.

Se il valore della emoglobina glicata è, dopo 2-3 mesi, ancora superiore alle attese, nonostante che la glicemia a digiuno sia stata riportata entro i limiti stabiliti, è necessario spostare l’attenzione alle escursioni glicemiche prandiali, registrando la glicemia prima della colazione, del pranzo e della cena e a distanza di due ore dall’inizio dei pasti. Se la glicemia preprandiale è superiore ai valori previsti in condizioni di digiuno, l’algoritmo prevede l’aggiunta alla insulina basale di ulteriori unità (secondo indicazione del diabetologo) di un analogo ad azione rapida, da iniettare subito prima del pasto che mostra il più alto innalzamento della glicemia. La dose di analogo rapido viene aumentata ogni giorno, fino a raggiungere l’obiettivo di una glicemia misurata a distanza di due ore dall’inizio del pasto eguale o inferiore a 140 mg/dl.

Se la glicemia a digiuno è nell’ordine di 90-110 mg/dl, è opportuno, con l’introduzione dell’insulina preprandiale, ridurre del 10% la dose di insulina basale, al fine di evitare la comparsa di ipoglicemia che potrebbe essere facilitata dalla riduzione dell’iperglicemia postprandiale.

Se ciò non è sufficiente a raggiungere l’obiettivo di emoglobina glicata desiderato, è necessario  implementare nella sua interezza lo schema di terapia insulinica bolo-basale, somministrando, insieme all’analogo ad azione ritardata della sera, una dose di analogo ad azione rapida prima di ogni pasto, non diversamente da quanto si fa nella terapia del diabete di tipo 1.

La dose preprandiale di insulina è condizionata dalla quantità di carboidrati introdotta con il pasto. Approssimativamente, una unità di insulina è sufficiente per la metabolizzazione di 10-15 g di glucosio, ma questo rapporto può variare in rapporto al grado di resistenza insulinica presente nel singolo paziente. Può essere conveniente partire da uno schema dietetico impostato con una quantità fissa di carboidrati per ogni pasto.

La glicemia dopo i pasti
L’algoritmo proposto prevede quindi che la terapia insulinica venga iniziata con l’impiego di un analogo ad azione ritardata, successivamente integrato con l’analogo ad azione rapida prima dei pasti. Uno schema alternativo è quello rappresentato dal ricorso prioritario all’analogo rapido preprandiale. La base teorica di questa scelta è rappresentata dalla osservazione dovuta agli studi di Monnier, secondo il quale la glicemia postprandiale ha un ruolo predominante nel determinare l’incremento della emoglobina glicata quando questa si collochi in un ambito inferiore all’8%. In altri termini, l’impiego iniziale preferenziale della insulina rapida è da riservare ai casi in cui si registri un incremento modesto della emoglobina glicata, una glicemia a digiuno accettabile e un incremento eccessivo e selettivo della glicemia postprandiale.

Da quanto detto finora, si deduce il ruolo fondamentale del monitoraggio domiciliare della glicemia per la definizione dello schema di terapia insulinica da attuare, sia nella fase iniziale sia nelle successive modifiche. La terapia insulinica bolo-basale richiede che, anche nel diabete di tipo 2, la glicemia venga controllata 3 volte o più al giorno. In ogni caso, è opportuno verificare il valore glicemico prima di ogni singola iniezione di insulina per essere in grado di apportare una eventuale modifica alla dose in rapporto al valore misurato. E’ anche opportuno che i pazienti registrino i valori di volta in volta riscontrati o ne ottengano una rappresentazione grafica tramite computer, per poterne discutere insieme con il proprio medico.

Infine, è opportuno ricorrere al dosaggio della emoglobina glicata, a intervalli non superiori ai 4 mesi, perché è a quel valore che si fa riferimento per una valutazione del controllo metabolico finalizzata alla prevenzione delle complicanze microvascolari e cardiovascolari.

PER SAPERNE DI PIÙ

• Nathan DM, Buse JB, Davidson MB, et al; American diabetes association; European association for the atudy of diabetes. Medical management of hyperglycaemia in type 2 diabetes mellitus: a consensus algorithm for the initiation and adjustment of therapy: a consensus statement from the American diabetes association and the European association for the study of siabetes. Diabetologia. 2009;52:17-30

• Holman RR, Farmer AJ, Davies MJ, et al, for the 4-T study group. Three-year efficacy of complex insulin regimens in type 2 diabetes. N Engl J Med. 2009;361:1736-1747

• Monnier L, Lapinski H, Colette C. Contributions of fasting and postprandial plasma glucose increments to the overall diurnal hyperglycemia of type 2 diabetic patients: variations with increasing levels of HbA1c. Diabetes Care. 2003;26:881-885

L’IMPORTANTE È FARE PRESTO
Ferma restando la necessità di adattare gli obiettivi della terapia alle condizioni individuali, il passaggio alla terapia insulinica non deve essere inutilmente e dannosamente ritardato quando si riscontri il fallimento della terapia ipoglicemizzante orale. L’esperienza insegna invece che molto spesso l’inizio della terapia insulinica è ritardato anche di anni durante i quali il valore della emoglobina glicata può essere mantenuto anche al di sopra dell’8% (mentre il traguardo da raggiungere è tenerla al di sotto del 7%). Ciò si deve a un insieme di fattori che comprendono il rifiuto della terapia iniettiva, il timore dell’ipoglicemia, ma anche la convinzione che la terapia insulinica sia troppo complessa e non possa essere gestita agevolmente nelle condizioni di vita ordinaria. Sono tutti problemi che possono essere risolti scegliendo il tipo di insulina più adatto e personalizzando la terapia.