Intervista
BOTTA E RISPOSTA CON IL PRESIDENTE DELLA SID RICCARDO VIGNERI
Tanti piccoli passi avanti
Il nuovo timoniere della Società italiana di diabetologia ci parla di programmi e iniziative, dei rapporti con le altre associazioni, dei progressi della ricerca, dell’importanza della prevenzione e della qualità dell’assistenza
Riccardo Vigneri, diabetologo e titolare della cattedra di endocrinologia all’Università di Catania, è il nuovo presidente della Società italiana di diabetologia, entrato in carica in occasione del XXI Congresso della Sid, tenutosi a Milano lo scorso maggio. Reggerà il timone dell’importante società scientifica per due anni, come da statuto. Lo abbiamo intervistato per conoscere i programmi e le prospettive della Sid e il suo giudizio sulle prospettive della ricerca e della diabetologia italiana.
Lei è il nuovo presidente della Sid. Come procederà il cammino della Società? Nel senso della continuità o del cambiamento?
Certamente nel senso della continuità, non solo con quelle che sono le radici culturali e scientifiche della società, e cioè l’attenzione e la promozione della ricerca scientifica, lo studio delle cause della malattia e delle sue complicanze, la realizzazione e diffusione di nuove procedure per la cura e il miglioramento della qualità di vita dei pazienti; ma anche di continuità con la tradizione di formazione degli specialisti e di aggiornamento dei medici e dei professionisti che si occupano di diabete.
Bisogna però ricordare anche la continuità rispetto a indirizzi più recenti, avviati e consolidati negli ultimi anni e che riguardano l’attenzione all’attuale legislazione e alla situazione socio-sanitaria del nostro Paese, che porta la Società italiana di diabetologia a un continuo riadattamento e a una maggiore sensibilità ai temi della formazione, delle cure sanitarie, del coinvolgimento di esperti non medici e altri operatori sanitari del campo diabetologico.
Nella strategia della Sid vi è l’obiettivo di stringere legami di collaborazione sempre più stretti con le altre associazioni -mediche e no- che si occupano di diabete: sono stati fatti passi avanti in questa direzione negli ultimi anni?
La Sid considera un punto centrale della propria attività la collaborazione con le altre società scientifiche mediche e non mediche, sia italiane sia internazionali. Recentemente ha organizzato a Riccione “Panorama Diabete”, il congresso dei Gruppi di studio Sid, realizzato con la collaborazione di numerose società scientifiche, anzitutto l’Associazione medici diabetologici (Amd) e, poi, delle società di cardiologia e nefrologia, oltre che delle società degli infermieri che operano in capo diabetologico, e di quelle di dietisti e podologi. Inoltre, nel nostro recente congresso erano previsti simposi congiunti e tavole rotonde con le società diabetologiche europea e americana (Easd, Ada), ma anche con le società scientifiche italiane che hanno interesse diretto o indiretto in campo diabetologico come le già citate Amd, le società italiane di Endocrinologia (Sie) e dell’Obesità (Sio). Tutto questo allo scopo di far convergere le diverse competenze e ottimizzare le conoscenze sulla cura del diabete. Con queste società sono in corso collaborazioni su progetti concreti per la realizzazione di linee-guida, per la formazione del personale, e per la sensibilizzazione verso la prevenzione del diabete.
Che bilancio si può fare oggi dell’esperienza di Diabete Italia con la Amd?
Il bilancio è sicuramente positivo, anche se molto resta ancora da fare. Molti sono i progetti e le iniziative realizzati nell’ambito di Diabete Italia, di concerto con Amd: il progetto di prevenzione del diabete Educagiocando, i lavori e le iniziative dei Gruppi di studio sull’educazione del paziente (Gised) e quello Diabete e attività fisica, che ha recentemente promosso iniziative clamorose come la partecipazione dei diabetici al percorso in bicicletta Tirreno-Adriatico e la partecipazione di diabetologi e diabetici alla scalata di una vetta dell’Himalaya, esperienza che è stata utilizzata anche come studio della risposta dell’organismo diabetico alle grandi altezze e allo sforzo fisico. Infine, Diabete Italia organizza da alcuni anni le attività della Giornata mondiale del diabete per sensibilizzare la società e le istituzioni ai problemi del diabete. In particolare, la Giornata mondiale del diabete è momento fondamentale per la sensibilizzazione della popolazione sulla patologia, sui fattori di rischio associati e sulle complicanze e viene realizzata grazie al contributo gratuito di molti diabetologi, soci delle nostre società e anche di operatori delle profesioni non mediche e dei pazienti.
Due punti mi sembrano particolarmente importanti. Da quest’anno Diabete Italia sarà l’interlocutore unico, per Sid e Amd, delle istituzioni, con un unico ufficio stampa e messaggi univoci non solo nei contenuti (lo erano già da prima) ma anche nelle modalità, nei tempi, nelle priorità. Secondo: è in corso una importante discussione su come allargare Diabete Italia alle associazioni dei professionisti non medici del mondo diabetologico (primi tra tutti gli infermieri) e alle associazioni dei pazienti. Per questi ultimi bisognerà risolvere problemi di rappresentatività (tra le molte sigle, alcune hanno veramente pochi aderenti) e di responsabilità in termini di contributo ai programmi, alle risorse e all’organizzazione. Questi principi sono ben codificati nel mondo anglosassone, ma non sempre da noi.
Dal punto di vista della ricerca diabetologica, vi sono novità di rilievo? Si prefigurano miglioramenti nella vita quotidiana del paziente diabetico?
Proprio al congresso della Sid dello scorso maggio sono state presentate le novità terapeutiche legate all’insulina e alle nuove vie di somministrazione, ai nuovi presidi farmacologici in studio, a fisiopatologia, diagnostica e trattamento farmacologico delle complicanze croniche, solo per citare alcuni degli argomenti che possono interessare direttamente i nostri pazienti. Bisogna dire che i pazienti si aspettano la grande novità, che cambi completamente la loro dipendenza da alcune regole e da alcuni condizionamenti che sentono come restrizioni alla loro vita quotidiana (orario e qualità dei pasti, controlli della glicemia, assunzione regolare dei farmaci, eccetera). Ma la ricerca raramente va avanti a grandi salti. Di solito si tratta di piccoli passi, ognuno capace di migliorare qualche aspetto, di rendere meno dannosa la patologia, di facilitare il buon controllo. Sono tanti di questi piccoli passi che, nel complesso, migliorano notevolmente la qualità di vita. Tra le novità terapeutiche mi sembrano di particolare interesse le incretine (sostanze che migliorano la secrezione residua del pancreas e che costituiscono un nuovo farmaco per “aiutare” la terapia del diabete con pillole) e la somministrazione di insulina per via polmonare (inalatoria).
Due minacce incombono da anni sulla diabetologia italiana, accentuate dalla riforma federalista e dai tagli della spesa sanitaria: quella di un allargamento delle disomogeneità fra una regione e l’altra e quella di una diminuzione delle risorse per la cura del diabete. La Sid ritiene che queste preoccupazioni abbiano tuttora ragion d’essere?
Assolutamente sì. La Sid ha nello statuto la finalità di lavorare perché i pazienti abbiano cure adeguate e ottimizzate ovunque nel Paese. Come organo scientifico, insieme ad Amd, ritiene di rappresentare la controparte scientifica e professionalmente qualificata che dovrebbe essere formalmente consultata ogni volta che le istituzioni intendono deliberare sul diabete. Con questa finalità la Sid, tramite Diabete Italia, si è fatta promotrice della realizzazione del progetto Standard di Cura, per definire a livello nazionale le linee-guida per la gestione del diabete, nell’ottica di offrire uno strumento omogeneo e applicabile nelle diverse realtà del territorio. La Sid e Diabete Italia sono molto attenti a questi aspetti socio-sanitari. Un recente esempio, al riguardo, è la collaborazione col ministero della Salute e con quello dei trasporti per definire le modalità operative delle Commissioni per la patente ai diabetici. Per quanto riguarda l’eterogeneità dei comportamenti regionali, dobbiamo sperare che questa fase di “deregulation” dei rapporti Stato-Regioni finisca al più presto e vengano definite modalità e priorità simili per la difesa della salute e della qualità dell’assistenza sanitaria.
Infine, è purtroppo vero che leggiamo e sentiamo continui richiami alla riduzione della spesa sanitaria. Senza voler negare sprechi e diseconomie, le istituzioni non possono dimenticare che il diabete è una malattia cronica in espansione in tutto il mondo e che è favorito dallo stile di vita moderno. Se aumentano i malati di diabete e, grazie ai progressi della medicina queste persone vivono di più, non è possibile non aumentare parallelamente l’investimento di risorse nella loro salute e nel loro benessere. La nostra società (e Diabete Italia) è impegnata perché questo messaggio sia recepito a tutti i livelli.
Prevenzione e autocontrollo: si dice sempre che sono due pilastri nella lotta al diabete. Ma, in concreto, in Italia si fa abbastanza in questi campi?
Si fa qualcosa, ma non si fa abbastanza. Prevenire vuol dire mettere in gioco risorse informative, sociali ed economiche. Vuol dire evitare che la vita sedentaria e l’alimentazione sbagliata favoriscano il diabete (prevenzione primaria) e far sì che i diabetici siano curati bene (anche con la loro partecipazione con l’autocontrollo), in modo da prevenire l’aggravamento e le complicanze (prevenzione secondaria).
La prevenzione è l’unico modo per ridurre, nel medio-lungo termine, la spesa. Ma proprio perché i risultati si vedono a distanza, non sempre le istituzioni sono disponibili a investire adeguatamente nella prevenzione. Sid e Diabete Italia hanno fra le loro priorità un rafforzamento dell’impegno in questo settore.