Devo dire che dopo la telefonata con Emma mi sento amareggiata.
Sono amareggiata, perché le parole che sono state rivolte a lei, nel corso degli anni, mi fanno capire quanto ancora la sensibilizzazione nei confronti del diabete e il conseguente lavoro di tanti operatori in campo medico e associativo non siano riusciti a sfatare luoghi comuni dolorosi.
Perché frasi del tipo: “Tu sei la causa della tua malattia, perché hai mangiato troppo zucchero”, “Fai vittimismo”, “il tuo diabete non è così grave”, “C’è di peggio…” fanno male, sono un pugno nello stomaco.
C’è tanta confusione. Diabete di tipo 1, diabete di tipo 2, insulina, pancreas, malattia invisibile.
Ecco. Invisibile. quindi se non la vedo, non c’è.
Pugno nello stomaco.
Ascoltando la storia di Emma, vittima di bullismo alle scuole medie e poi vittima dell’ignoranza in questa seconda fase di vita iniziata con l’esordio del diabete ormai 13 anni fa, penso a come sarebbe diverso, per chi convive con una patologia cronica, sapere che gli altri comprendono, che sanno di che dimensione è il fardello che ti porti dietro, e soprattutto scelgono di astenersi da qualsiasi forma di giudizio nei tuoi confronti. Penso a come sarebbe importante poter dire liberamente “mi sento male” senza essere tacciati di vittimismo, perché che se lo dici è molto probabile che davvero ti ci senti. Male.
“Sminuire il dolore altrui è tremendo. Ci vuole empatia. Nessuno ha la verità in mano”, mi dice Emma.
Questo è poco ma sicuro. Nessuno ce l’ha.
Per cui bisogna mettersi in ascolto verso la verità che ognuno ci porta. Anche quando è incomprensibile. Anche quando scardina quelle convinzioni che abbiamo cementificato – chissà poi perché – con tanta cura e dedizione.
A quel punto, si potrà addirittura credere al fatto che il diabete di tipo 1 non è conseguente a uno stile alimentare sbagliato. Per esempio.
Emma mi racconta del primo anno di liceo. Ha voglia di riscatto dopo un passato di vessazioni durato per tutto il periodo delle scuole medie.
Ma l’inizio della scuola coincide con l’esordio del diabete: “È stato difficile inserirmi, ma ho deciso quasi da subito di non nascondere quello che mi succedeva. Mi facevo anche le iniezioni in classe, se era necessario. Ho realizzato col tempo che io sono io, la patologia fa parte di me. Il diabete mi ha aiutato, col tempo, a fare avvicinare le persone giuste e ad allontanarmi da quelle sbagliate. E poi ho cercato di non farmi ingabbiare, di non farmi condizionare dall’idea che con questa malattia non è più possibile realizzare i miei sogni.
Ho fatto un’esperienza di studio in Gran Bretagna e una di lavoro negli Stati Uniti.
Il diabete è un lavoro full time. La terapia va modulata e nessun giorno è uguale a un altro.
Ci sono stati due personaggi famosi che mi hanno ispirato: Nick Jonas dei Jonas Brothers, diabetico dal 2007 e Sierra Sandison, Miss Idaho 2014, che ha sfilato in passerella col microinfusore. Il messaggio di entrambi era chiaro: non nascondetevi.”
Emma non ne ha alcuna voglia e, anzi, insieme al Leo Club, la scorsa primavera, ha proposto una campagna a livello nazionale di sensibilizzazione sul diabete di tipo 1. L’ha esposta a una platea di 200 persone. “Abbiamo perso per un solo voto, ma allo stesso tempo, aver raggiunto così tante persone che hanno creduto nel progetto è stata comunque una piccola vittoria.
Parlarne è diventato essenziale. Partecipare a convegni, portare la propria testimonianza nelle scuole. Conoscere altri coetanei nella stessa condizione ha dato un’ulteriore spinta. Mi ha fatto sentire parte di qualcosa. Le storie degli altri aiutano a immedesimarsi, a sentire anche quello che non ci riguarda di persona”.
“Col diabete bisogna imparare ad essere resilienti, perché o ci convivi o ci convivi. Non ci sono alternative. Da ragazzini ci si sente invincibili. Si pensa che non ci accadrà mai nulla. L’esordio del diabete è stato una sveglia e mi ha spinta a mettermi in gioco ancora di più.
Non voglio essere frenata dal diabete. Ma non posso negare che mi impone dei limiti, legati ad esempio alla conta dei carboidrati, alle ipoglicemie notturne, al microinfusore che può rompersi, al fatto che anche se ho passato la notte in bianco a lottare per la mia stessa vita, comunque il giorno dopo devo essere a lavoro come se niente fosse. E se volessi trasferirmi dall’altra parte del mondo, per esempio, non potrei farlo con la stessa leggerezza di chi il diabete non ce l’ha. Ci sono davvero mille cose da tenere a bada e in considerazione.
Però ho fatto di tutto e di più nella mia vita. Con grinta. E soprattutto questi ultimi anni sono stati per me una vera e propria rinascita”.
A cura di Patrizia Dall’Argine